Scritto da Riccardo Ageno. Pubblicato in Giretti sui monti
A fine estate del 2018 io ed il mio inseparabile compare di malefatte trail Salvatore Bruno ci cimentammo in un bel Trail da una trentina di Km sulle colline livornesi in cui andammo "dalla cima verso il mare". La cima in questione è la località Valle Benedetta, che col poggio Lecceta (460m slm) rappresenta il punto più alto delle nostre colline, mentre il mare prescelto fu la discesa alla spiaggia di Calignaia, una delle mete preferite del popolo livornese per i bagni estivi sulla scogliera del Romito.
Da quel viaggio iniziai a maturare una piccola idea folle: perchè invece di partire dalla Valle Benedetta, fare un tour delle nostre colline partendo dai bellissimi sentieri della Puzzolente, punto a Nord delle colline da cui partono tantissimi trail delle nostre scorribande Survival?
Così mi misi a studiare percorsi, sentieri di congiunzione, ci siamo messi a testarli e a vedere da dove si poteva passare e da dove non conveniva passare, sempre in cerca dell'occasione giusta per trovare il tempo ed il periodo ideale per realizzare un anello da 60Km che praticamente corresse in tutte le colline livornesi escludendo solamente la parte del promontorio di Rosignano Marittimo.
A fine mese io e Salvatore (e anche Gabri, sennò è geloso) parteciperemo all'Ultra Trail del Mugello, e tra i vari impegni da caposquadra ci siamo ritagliati un giorno di "ferie" per poter fare una prova generale: noi due non abbiamo mai corso per più di 44 (io) e 45 km (lui) perciò non volevamo arrivare alla gara senza sapere cosa ci poteva aspettare da un giro così lungo, senza testare cibo, idratazione, assetti e fatica. Perchè alla fine, la vera novità è stata lei: la fatica. Ne parlerò alla fine.

Così, dopo aver concordato orari e luogo di partenza, dopo aver provato a coinvolgere lo Iannett che però per precauzione non se l'è sentita di rischiare la caviglia in una doppietta "Maremontana-Colline Livornesi" da 120km in due weekend, io e MrB (Salvatore) ci troviamo al terreno di Paolo per poter lasciare le auto in un recinto custodito e poter usufruire del casotto per cambiarsi alla partenza, all'arrivo e poi pranzare una volta terminato il giro.
Ci troviamo prima delle 6, perchè la gara partirà alle 6 e pure questa è una cosa da provare, perchè non abbiamo mai iniziato a correre così presto nè tantomeno ci siamo mai svegliati alle 4:30 per poter partire in orario. La sveglia è un cazzotto nel viso, per me: Tommaso, il figlio piccolo, ha pensato bene di farsi venire la febbre a 39,5 durante la notte, e nonostante la santa Giulia abbia cercato di farlo star buono, urla e schiamazzi non sono un grande aiuto per dormire. Quindi già si parte in salita: la sola vista della colazione mi suscita la nausea, quindi per ovviare al problema faccio le cose al contrario. Mi vesto prima di far colazione, e quei 10 minuti per prepararmi mi svegliano un po' e riesco finalmente a mangiare.
Ultimi preparativi e si esce. Alle 5:25 sono in macchina.
Il tempo fuori è uggioso: schizzetta, ma diciamo che non sono gran che preoccupato. Io e MrB abbiamo affrontato il TMP l'anno scorso in condizioni proibitive, le mie colline le conosco come le mie tasche e non faremo sentieri particolarmente difficili fino a che non arriverà la luce quindi si va.
Bene, appena arrivato al casotto del terreno del Presidente trovo Salvatore che si sta preparando. Pronuncia un "Ti odio" ogni circa 30 secondi, e la frequenza dei "Ti odio" aumenta da lì a pochi minuti perchè il cielo decide di esplodere: parte un diluvio di quelli da manuale. Le previsioni lo avevano dato, ma non pensavo che sarebbe venuta giù così forte.
Traccheggiamo un po'. Caffeino, frontale in testa, impermeabili e, con un ritardo di qualche minuto, decidiamo che l'acquazzone non ha intenzione di calmarsi e quindi bisogna partire. Si parte.
Viene talmente forte che la frontale illumina il muro d'acqua e non la strada davanti, ma soprattutto lo scroscio è così potente da non essere fermato neanche dalla vegetazione fitta della Foresta in cui entriamo dopo 100m dalla partenza. Il delirio: le frontali illuminano male, l'acqua è sempre più forte, ed inevitabilmente rinfresca e riammorbidisce lo strato di fango già formato durante le piogge dei giorni scorsi: alla Puzzolente il terreno è argilloso, quando piove si formano delle vere e proprie paludi, e dopo 500m Salvatore si gioca la prima patta della giornata. Giù nel fango, ma niente di grave.
La pioggia scrosciante ci accompagna fino ad una mezz'ora buona dopo che è sorto il sole. Saliamo la nostra piccola vertical, sul Monte la Poggia (380m slm), e si ridiscende giù verso la vallata del Rio Maggiore, principale torrente che dalla Valle Benedetta arriva al mare. Qua primo intoppo: in questo punto c'è uno dei sentieri di raccordo, di quelli che non ricordiamo a memoria, ha smesso di piovere ma l'acqua che la pioggia ci ha lasciato addosso non aiuta certo a sbloccare gli schermi dei cellulari per guardare la mappa. Perdiamo qualche minuto, ma poi riusciamo a trovarlo, e con un bello strappo di 150m in meno di un km siamo al primo waypoint del nostro giro: la Valle Benedetta, 400m slm. Da qui inizieremo l'avventura verso il mare.

Breve rifocillo prima di partire alla volta dell'infida discesa del Bilancino, resa scivolosa dal fango, fino a spuntare ai piedi del poggio Sperticaia: un altro strappetto, in cui facciamo circa 200m di dislivello, che ci conduce all'enorme tagliafuoco che taglia le colline tra la via di Popogna e la frazione del Castellaccio, prossimo step dove avremo un rifornimento idrico. Corriamo bene lungo il tagliafuoco, una strada bianca senza grandi pretese, ed arriviamo al Castellaccio, da qui scenderemo al mare.
Inizia infatti la parte più "impegnativa" del giro. I sentieri della Riserva Naturale di Calafuria sono bellissimi ma anche gli unici delle Colline Livornesi con dei dislivelli più duri: in 12km faremo quasi 700m di dislivello, che per le nostre colline è tanto. Partiamo subito in discesa, un single track chiamato "i Frassini" che porta in 2km alla salita più bastarda di tutto il giro: la famigerata Tsunami, che quasi in verticale si fa 90m di dislivello in 300m di distanza, ed oggi resa scivolosa dall'acquazzone. Ci sono le corde, per andare su, ed in alcuni punti ci aiutano. Salvatore continua a dire che mi odia, ma arriviamo al Semaforo del Montaccio, colle sul quale una torretta di avvistamento permette di vedere tutto il mar Tirreno e la scogliera Livornese.
Non ci saliamo, ovviamente, e scendiamo giù verso la Voltina, famoso ritrovo degli stradisti livornesi che vanno a fare la stradona bianca che porta su verso il Semaforo. Noi ne facciamo una parte, e ci imbocchiamo nel sentiero n°1, la via dell'Esbosco, una salita non difficile ma costante che riporta in alto. Finito, scendiamo finalmente al mare: il single track del Telegrafo, col suo finale ripido e sassoso, ci accompagna alla spiaggia di Calignaia. Finalmente posso mangiare il mio nuovo mix "parmigiano & datteri" mentre MrB fa la seconda diretta Facebook. 5 minuti di relax in compagnia delle onde del mare e si riparte.
Risaliamo la bellissima downhill del Kenion (sì, in cima c'è un cartello delle mtb che è scritto così) per tornare verso la strada statale che collega il Romito col Castellaccio: spunteremo nei pressi della Curva Nuvolari, dove c'è una trattoria. La trattoria da Rosa era stata scelta come punto birra. E' aperta ed entriamo: siamo sudati, bagnati, sudici di fango, insomma poco raccomandabili.
"Buongiorno, vorremmo una birra da 66 e due bicchieri di plastica"
"O voi da dove venite?"
"Siamo partiti dalla Puzzolente e ora ci torniamo, sono 30km che si corre"
"Ecco la birra, ve la offro io"
Come fare felici due bambini. Ci scoliamo la birra offerta gentilmente da Rosa, e si riparte: destinazione Gorgo, sentiero 00. Il tempo sembra rimettersi, nel frattempo: si alternano sprazzi di nuvole a sprazzi di sole, a noi basta che non piova più, ma il terreno è comunque pesante.
Menomale che questo è il tratto più corribile, andiamo per un bel po', ma l'ingresso nel "vero" sentiero 00 ci rallenta: un single track di salita costante dove soprattutto nella prima metà il terreno è un mix di fango e tratti pieni di sassi. Saliamo, non corriamo quasi mai per via della difficoltà dovuta alla pioggia caduta stamattina, ma ne usciamo: arriviamo alle palazzine e da lì si inizia la salita che, sempre sullo 00, porta ai piedi del Poggio Lecceta. Non ci andremo, perchè arrivati al bivio 00-Colognole, prendiamo la discesa che porta al bellissimo Acquedotto.
Ora, l'acquedotto Leopoldino è tanto bello quanto bastardo quando piove. Le sue pietre liscissime modellate dal Poccianti per realizzare questa imponente opera architettonica sono ricoperte da muschio, e con la pioggia diventano una roba pericolossissima. Si scivola, ed in alcuni punti si corre a 7-8 metri d'altezza dal terreno sottostante. Cadere è un attimo, e non possiamo permetterci di sfracellarci.
Oltretutto siamo oltre il 40esimo km, e la fatica inizia a farsi sentire: rallentiamo sia qui che nella salita successiva che porta a Colognole. Secondo rifornimento idrico, e mangiamo ancora. Perdiamo qualche minuto per un meritato riposo, prima di ripartire alla volta del Torrente Morra: lo guadiamo dopo una discesaccia tutta piena di pietre, e qui inizia quello che io chiamo "il giro della Morte". Nonostante non sia il più duro delle nostre colline in termini di km e dislivello, è stato il primo giro con un po' di salitacce bastarde sulle colline che abbiamo testato, e da allora è rimasto il giro della morte. E insomma, farsi il giro della morte dopo il 44km fino al 50esimo è stata un'impresaccia: ci sono due salite, entrambe di circa 200m di dislivello in poco più di 1.5 km, inframezzate da una downhill molto tecnica, piena di sassi e abbastanza ripida.
Non ci perdiamo d'animo, la fatica inizia a farsi sentire: sono quasi 9 ore che corriamo su terreno pesante, e la seconda salita, chiamata "Two fingers", inizia a far cedere Salvatore. Lo incito, si incita da solo, mi odia, ma tira avanti.
Il giro doveva passare dall'Eremo della Sambuca, ma decidiamo di saltarlo: per scendere lì avremmo dovuto fare una discesa in cui a metà c'è un tratto di pietre scivolose, ed ora le nostre gambe iniziano ad essere troppo stanche per affrontarla. Passare dal sentiero facile vorrebbe dire allungare troppo, e allora chiudiamo l'anello con la strada che porta direttamente all'ultima salita spacca gambe: Little Sheep.
La salita della pecorina è un'altra delle nostre salite più ripide. Corta, ma cattiva, e se la fai al 54Km ti devasta fisicamente.
Però è l'ultima, vera salita del nostro tour. Non ce ne saranno più dopo di questa e scenderemo soltanto, verso il punto dove stamattina alle 6 eravamo partiti. La saliamo, piano, ma arriviamo imperterriti in fondo. Ora c'è addirittura il sole, ma non ci leviamo le giacche di dosso perchè siamo ancora fradici e c'è un po' di vento che potrebbe dare fastidio. Mancano poco meno di 5km all'arrivo e c'è una stradona bianca, e Salvatore inizia a vedere le Madonne. E' stanco, il terreno bastardo l'ha spaccato, e la pausa forzata di 15 giorni a metà marzo gli ha fatto perdere un po' d'allenamento.
Però si scende.
E proviamo a correre. Io corro, ne ho ancora, anche se le gambe iniziano a essere veramente molto stanche, corro e corro.
Voglio finire almeno in 10 ore e mezzo, che per i vari intoppi successi, il terreno pesante per tutto il giro e la partenza non proprio facilissima, per me è un ottimo risultato.
Salvatore, a ritmo "ultra" mi segue un po' più lento distaccandosi ma mai smettendo di correre.
L'odore di birra inizia a farsi sentire nell'aria. Arrivato al cancello, lo apro con la foga di chi non ne può più. E' finita!
Mi metto a sedere, sono stravolto. Ora che l'adrenalina cala, inizio a cedere fisicamente. Sono talmente stanco che faccio fatica ad alzarmi dalla sedia mentre bevo la birra. Ma siamo soddisfattissimi. Brindiamo e mangiamo pasta al forno e tacchino arrosto.
58,8 km 2450d+ dice il mio orologio. Non abbiamo mollato un cazzo, nonostante fosse una giornata da lupi, abbiamo finito.
Abbiamo imparato cosa succede in un giro così lungo, abbiamo sentito cosa succede dopo un certo km, abbiamo imparato che da un certo punto in poi è importante gestire la fatica.
L'Ultra Trail del Mugello non ci prenderà alla sprovvista. ARRIVIAMO.
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Scritto da Gabriele Ianett. Pubblicato in Giretti sui monti
Antefatto
Non ricordo in quale punto dell'Appennino fossimo, ma era il terzo o quarto giorno di cammino. Eravamo decisamente provati. Pietro rompe il silenzio… "ma, l'anno scorso, non avevamo detto di smetterla con queste stronzate?" Io prontamente lo bacchetto..."noooooo! Dicemmo che poteva bastare con le Apuane e che era il caso di iniziare ad esplorare l'Appennino!".
Fu proprio lui, durante la EquiTerme-Tirrenia® dello scorso anno, in uno di quei mistici momenti in cui il disagio mescolato alla stanchezza stimolano la creatività, a proporre la Pracchia-Filattiera®.
Progetto con qualche ambizione in più rispetto ai precedenti, non tanto per il chilometraggio, quanto per il dislivello positivo da affrontare e la scelta di farlo in totale autonomia. Tradotto: i 145Km erano una distanza di poco superiore ai viaggi precedenti, ma gli oltre 8000 D+ risultavano stimolanti più per la fantasia che non per le gambe, in virtù anche dei cilici che avremmo dovuto portare sulle nostre spalle. Tutto, però, trova un suo equilibrio nel momento in cui applichiamo il nostro mantra: “ma a noi ci importa una…”. L’unica vera ambizione è quella di partire ed essere lì a godere, a modo nostro, di tutto quello che la montagna è in grado di regalarci. Se non riusciamo a completare il programma abbiamo sempre la “Recupero Deficienti S.r.l.” a supporto. Un enorme valore aggiunto nella programmazione dei nostri viaggi. E i ringraziamenti, verso persone che in quei giorni fanno a gara per dare la loro totale disponibilità nell’esserci di supporto in ogni dove ed in ogni quando, non saranno mai sufficienti.
A giugno il progetto inizia a prendere forma. Individuiamo il weekend: da giovedì 12 a domenica 15 luglio. Pietro, essendo in ferie tutta la settimana, decide di ampliare e rendere ancora più ambizioso il tutto: partenza il lunedì mattina da Sasso Marconi. Il nostro ritrovo ufficiale diventa quindi giovedì mattina ore 8:50 in stazione a Pracchia.
La settimana prima della partenza ci troviamo a casa mia per pianificare il viaggio nei minimi dettagli.
Il progetto è quello di percorrere quanto più possibile il sentiero di cresta, la così detta Alta Via, camminando lungo la GEA (Grande Escursione Appenninica), l’Alta Via dei Parchi ed il Sentiero 00. Capiamo da subito che il problema numero uno da risolvere sarà quello dell’approvvigionamento idrico. Appunto.
Arriva il giorno della partenza di Pietro. Sono eccitatissimo. Ho una viscerale necessità di raggiungerlo. Quest’anno, più degli altri anni, ho bisogno di stare lassù. Devo lavorare su alcuni aspetti interiori ben precisi: parto più focalizzato e quindi più motivato.
Il martedì preparo lo zaino: tenda, amaca, sacco a pelo, materassino, un cambio completo per il giorno ed uno per la notte, giacca a vento, poncho, kit di primo soccorso e farmaci essenziali, qualche raudo, accendino, coltello, carica batterie, cellulare di emergenza, power bank, sapone ecologico multiuso, cartografia, 3 borracce ed una camel bag da 2 litri, una cordicella e poco altro. Peso il tutto e siamo già sopra i 10Kg senza cibo ed acqua. Preparo i viveri: frutta secca, miele, barrette proteiche, gel, cioccolata, bevande energetiche e sali XS. Non li peso…ho paura. Oltre allo zaino decido di portare anche il marsupio da 2 litri per poter avere facilmente sottomano gli oggetti di maggior utilizzo. A posteriori la valuto una decisione azzeccatissima, a parte la leggera lacerazione sulla schiena causata dalla chiusura. Acquisto online i biglietti del treno.
Giovedì 12 luglio
Ci siamo, è arrivata la mattina della mia partenza. Salgo sul primo treno, sono le 6:20. Devo fare due cambi, uno a Viareggio ed uno a Pistoia.
Alle 8:50 arriviamo puntualissimi in stazione, incredibile! Pietro e lì che mi aspetta, gobboni su una panchina.
Io mi presento con pantalone lungo comodo e ciabatte infradito. Mi prendo un quarto d’ora per cambiarmi. Dopo, mi confesserà che in quei minuti gli era balenata l’idea di lasciarmi lì da solo. Ma non l’ha fatto e quindi gli voglio bene. Ma tutto sommato gliene avrei voluto anche se l’avesse fatto. Però non l’ha fatto. Alle 9:15 iniziamo il “nostro” viaggio.
Lui fa da cicerone perché oramai conosce Pracchia come le sue tasche: un giorno ancora e l’avrebbero fatto sindaco. Andiamo a fare acqua e ci incamminiamo sul nostro primo sentiero, il 33.
Ci aspetta una prima lunga salita di oltre 1200D+. Attraversiamo un primo gruppetto di case per poi entrare rapidamente in una bellissima Faggeta. Il sentiero è largo, pulito e ben segnalato. Però c’è qualche cosa che non va. Siamo partiti da più di mezz’ora e Pietro non si è ancora chetato. Ho paura, tre giorni di solitudine hanno fatto peggio del vino, rendendo pericolosamente loquace un taciturno brevettato. Comincio a temere per la notte!
Comunque decido di sfruttare il momento di innaturale loquacità per carpirgli informazioni: perché “Pracchia”? L’arrivo a Filattiera lo sapevo, ci abita la sua nonna ultranovantenne che ha più lucidità di taluni ventenni contemporanei e poi fa delle torte salate al cui cospetto i vari Cracco & Friends sono dei dilettanti. Ma perché aveva deciso di partire proprio da lì? In fin dei conti, dopo oltre mezz’ora di cammino, forse sarebbe stato utile anche saperlo.
“Perché ci arriva il treno”. Ecco.
Salendo, la Faggeta muta naturalmente in Abetaia.
Incontriamo un austro-tedesco che sta percorrendo la GEA in direzione opposta alla nostra. E’ partito da due settimane, da solo, in totale autonomia. Ha intenzione di percorrerla tutta. Cerchiamo di dirgli che ha uno zaino enorme, ma non riusciamo a dialogare in nessuna lingua, e a dirla tutta, abbiamo difficoltà anche con i gesti. Ci salutiamo, ma dopo pochi passi, emette un suono. Non so di preciso su quale, tra gli oltre 20 sensi di cui siamo dotati, sia riuscito a far leva per farci capire di fare acqua alla fonte segnalata poco più avanti, poiché al successivo Rifugio del Montanaro non ne avremmo trovata. Però c’è riuscito. Era un messaggero.
Poggio dei Malandrini. Associazioni immediate: Bussino, Banda dei Malandrini, UltraWild, Corri&Salsiccia. Foto e continuiamo a salire. Entriamo nella nebbia.
Welcome in Ireland. Siamo sul sentiero di cresta. Le nuvole corrono veloci giocando con forme e colori, mutando continuamente il paesaggio in un instancabile vedo non vedo. L’altitudine ha modificato radicalmente la vegetazione: abbandonato il bosco, adesso tutto intorno a noi abbiamo solo montagne rivestite di verdi prati e piccoli arbusti. Cominciamo a familiarizzare con la pianta regina indiscussa di queste montagne: il mirtillo.
Fonte Uccelliera (1650 m) per un rabbocco delle borracce. L’aria è fresca ed il consumo di acqua è limitato. Passo del Cancellino (1632 m) e Passo dello Strofinatoio (1847 m) sono due tappe intermedie necessarie per raggiungere il primo traguardo di giornata: il Lago Scaffaiolo (1785 m).
E’ una tappa, questa, a cui tengo parecchio. Mio nonno era di Sestola. Ci venivo spesso da bambino e ricordo ancora con affetto il sentiero che dalla Croce Arcana porta fino al lago: oggi è una breve passeggiata ma allora, per me, rappresentava un piccolo viaggio.
Il lago Scaffaiolo è un luogo magico dove regna la quiete. Taumaturgo. Spesso avvolto nella nebbia, ha un che di fiabesco. Naturalmente scavato, nascosto e protetto dentro ad una conca, è alimentato da acque piovane, dalla fusione delle nevi e da una falda. Scrisse di lui anche il Boccaccio:
« Scaffaggiuolo, lago picciolo è nell'Appennino, il quale fra la regione di Pistoia e Modena s'inalza, e più per miracolo che per la copia dell'acqua memorabile, perocché, come dànno testimonianza tutti gli abitatori, se alcuno da per sé, ovvero per sorte, sarà che getti una pietra o altro in quello, che l'acqua muova, subitamente l'aere s'astringe in nebbia e nasce di venti tale fierezza che le querce fortissime e li vecchi faggi vicini o si spezzano o si sbarbano dalle radici »
Arriviamo al rifugio alle 14:00 e ci imbattiamo in una simpatica gara di Orienteering. L’accoglienza della struttura non è proprio delle migliori, e questo ci fa dispiacere. Sembra che l’ora sia tarda per avere due panini e quindi ci viene offerta della polenta fredda, senza sale, corroborata da due fette di formaggio diaccio. La innaffiamo con le solite due birrine. Meglio di niente…ma deh!
Due polente, due birre ed un caffè per un totale di 25€ e ripartiamo.
Usciti dal rifugio troviamo un bel vento. Abbiamo quasi freddo, strana sensazione in questo periodo. Ci copriamo bene e riprendiamo a camminare proprio mentre arriva il camion degli spurghi. Insolito in questi contesti. Pietro vorrebbe farci un selfie…mi sembra troppo. Una foto ricordo può bastare.
Scendiamo verso il lago e la magia si accende. Non riesco a descrivere questo luogo con lucidità. Troppi sono i ricordi e le emozioni vissute in questo posto, con persone che adesso purtroppo non ci sono più. Percorro il lato lungo del lago in assoluto silenzio, godendomi ogni passo, ogni emozione.
Proseguiamo sul sentiero, superiamo il Passo della Calanca (1731 m) e raggiungiamo il Passo della Croce Arcana (1669 m). Dopo alcuni scatti di rito al Memoriale ai caduti della Seconda Guerra Mondiale, riprendiamo il cammino. Prossima meta, cima Tauffi. Intanto la nebbia si dirada e l’orizzonte diventa sempre più limpido. Il sentiero di cresta è un esile traccia che scivola via come un serpente nel verde di queste montagne.
L’ascesa al Tauffi (1799 m) non è assolutamente banale. Facciamo un pò di fatica. Raggiunta la vetta ci godiamo il panorama, regalandoci una breve sosta.
Stiliamo un primo bilancio della giornata e prendiamo la decisione di dormire all’Ostello di Boscolungo, subito sotto l’Abetone, seguendo la GEA ed abbandonando momentaneamente lo 00. Telefoniamo per prenotare, ma purtroppo non hanno posto. Ci segnalano l’Hotel Primula con il quale hanno una convenzione. Chiamiamo l’Hotel e prenotiamo. Abbiamo però ancora un po di strada da fare e non è soltanto discesa: dobbiamo conquistare ancora il Libro Aperto (1936 m). Lo facciamo. A questo punto, dalla vetta all’Hotel sarà solo una dolce discesa. Ci stiamo alla grande con i tempi, quindi decido di prendermela con calma e godermi il paesaggio. Il sole comincia a calare ed i colori virano verso le tipiche tonalità pastello su note aranciate. Poco prima di raggiungere Boscolungo, di lato al sentiero, ci imbattiamo in un formicaio impressionante, alto almeno un metro e mezzo. In pratica guasi quanto me.
Raggiungiamo l’Hotel e terminiamo la prima giornata (per me) con 35Km percorsi e 2400 D+. Ci facciamo una doccia, ci cambiamo, facciamo il bucato e scendiamo a reintegrare le calorie consumate. La padrona è molto cordiale. La cena è ottima ed abbondante: tagliolini al ragù di cinghiale, polpettone con spinaci, purè e patate arrosto. Bis di secondo, mega fetta di torta, caffè e grappino. Il tutto accompagnato da una Moretti per me e un quartino di vino per lui. Alle 22:00 siamo già a dormire.
Livello 1: Se sei arrivato a leggere fino a questo punto sei un tipo tenace, però non completamente equilibrato.
Venerdì 13 luglio
Ore 6:00 sveglia. Ore 6:30 ottima ed abbondante colazione. Saldiamo il conto: 45 € a testa. Cifra più che onesta. Salutiamo e ci rimettiamo in cammino. Sono le 7:30 precise. La ripartenza è ideale. Leggera salita nel bosco su sentiero largo e ben percorribile. Prima meta, Lago Nero (1730 m). Circa un chilometro prima del lago e dell’annesso rifugio, troviamo una catasta di legna ed un cartello con cui si chiede ai viandanti di contribuire al trasporto in zona rifugio. Aderiamo all’iniziativa. Pietro si avvia, io mi attardo un paio di minuti. Quando riprendo il cammino, procedendo a testa bassa a causa del legno che porto sulle spalle, non vedo la deviazione per il lago e ovviamente proseguo sul sentiero sbagliato: sai che novità! Dopo diverse centinaia di metri in salita mi sorge un dubbio, che ben presto diventa certezza: sono fuori traccia. Grazie ad “Avenza Maps” ritrovo la diritta via. Mi sorge un dubbio: ma Piter cosa avrà fatto??? Arrivo al lago, il rifugio è chiuso, Piter è aperto. Il posto è bellissimo. C’è una coppia di ragazzi che piccioneggia, e la nostra presenza forse non è graditissima. Pietro vorrebbe provarci con il lui. A me la lei non piace, quindi facciamo una micro sosta e proseguiamo sul nostro sentiero.
Saliamo in fianco al lago e dall’alto riusciamo ad apprezzare meglio la bellezza della zona.
Scoviamo anche una risorgiva in mezzo all’erba. A fatica riusciamo a riempire le borracce. Proseguendo ci troviamo di fronte al Monte Gomito. Svoltiamo leggermente a sinistra e dopo poco eccoti tutto il massiccio dell’Abetone. Larghe strade verdi, che rompono la continuità del bosco, ci ricordano che abbiamo di fronte la località sciistica più importante della Toscana. Gli impianti di risalita sono però quasi tutti fermi: siamo molto lontani dalle mentalità nordiche. Costeggiamo la Val di Luce. In fianco all’arrivo della seggiovia scopro un lago, invisibile in inverno, probabilmente perché ghiacciato e ricoperto di neve.
Foce di Giovo (1674 m). Ecco, da qui inizia la giornata 2.2. Ultimo punto acqua della giornata. Adesso lo sappiamo, in quel momento no. Avremmo dovuto saperlo, ma abbiamo sottovalutato la cosa, probabilmente perché la salita fino a quel momento era stata accettabile ed il caldo sostenibile. Riempio le mie tre borracce d’acqua, ma non la camel bag.
Iniziamo a salire verso il Monte Rondinaio (1963 m). Il caldo inizia a farsi sentire e il vento teso non fa percepire la sudorazione reale. Le labbra si seccano rapidamente e la necessità di bere si fa sempre più frequente. Il reintegro dei liquidi non è più in linea con quanto perso: ha inizio un lento ed inesorabile processo di disidratazione, la cui sintomatologia sul mio organismo conosco oramai piuttosto bene.
Progressivamente si riduce l’appetito, le gambe si fanno più pesanti, inizia a comparire qualche fastidio muscolare ed il passo diventa sempre più incerto. La concentrazione si sposta dall’esterno all’interno. Cambia radicalmente il modo di pensare. E’ tutto assolutamente normale, il cervello si setta in modalità “sopravvivenza”. E da qui può nascere il pericolo. Lasciar vagare liberamente i pensieri diventa pericolosissimo, perché il rischio di ritrovarsi nel giro di pochi minuti nel bel mezzo di una crisi di panico è assai concreto. Già, il panico…ne avevamo parlato con Pietro proprio il giorno prima. Scaturisce da pensieri fuori controllo che innescano una spirale in negativo e che in certi contesti può portare anche al peggio. Ma sono SFP…Soltanto Fottutissimi Pensieri. A tutto c’è una soluzione, sempre! Per trovarla però ci vuole calma, autocontrollo e soprattutto padronanza nel gestire il proprio modo di pensare. Dobbiamo diventare pragmatici nel dialogo con il nostro organismo: ascoltare i segnali che ci invia ed agire di conseguenza. Ecco cosa sono venuto a cercare quassù.
Arriviamo in vetta e troviamo una simpatica combriccola di sessantenni. Qua dobbiamo prendere una decisione molto importante:
-
scendere al Lago Santo (1507 m), dove avremmo potuto riapprovvigionare l’acqua, per poi dover risalire fino a Colle Bruciata (1709 m) dove saremmo ritornati sull’Alta Via. Bilancio: 450 D- e 200D+.
-
proseguire sullo 00, rimanendo in quota, ed affrontare il Monte Giovo (1991 m). Avremmo accorciato il tragitto ed evitato il saliscendi, però ci saremmo esposti al rischio di dover attraversare un tratto di ferrata che non conoscevamo (oltretutto con i nostri cilici sulle spalle) e con l’incognita della scorta di acqua.
Socializziamo con i sessantenni e chiediamo informazioni sulla ferrata. Ci rassicurano. Per quanto riguarda la scorta di acqua, rimaniamo sereni perché comunque ho con me ancora 5 lattine di Energy Drink. E poi, il Monte Giovo che si ergi lì davanti a noi, ha una discreta carica erotica. Il dado è tratto, scegliamo il punto 2.
Cilici in spalla, torniamo a calpestare il serpentone. Arriviamo alla ferrata: oioi, oimmei. Un dente di roccia di una decina di metri, da arrampicare, con soltanto una vecchia catena arrugginita come supporto. Pietro sarebbe tornato indietro molto volentieri, e se vi dice il contrario, mente. Il suo mantra “non sarà certo peggio della Cresta Est della Pania” si scioglie come neve al sole. Il tratto da salire è breve, saranno cinque o sei prese, ma è completamente esposto e sotto di noi c’è il niente. C’è invece il vento, ed i nostri cilici diventano una componente di rischio in più. Detta così sembra più catastrofica di quanto non fosse veramente, ma la mente lavora così. Pietro sale con lo sfintere completamente contratto. Arriva in cima che suda adrenalina. Io mi sforzo a bloccare qualunque pensiero fallace. Mi concentro solo su dove fare le prese per salire. Salgo sereno e mi diverto. Il modo di pensare…già, sono qua per questo.
Ma non siamo ancora in vetta. Proseguiamo la salita, inizio a sentire la fatica…arriviamo in vetta che sono abbastanza provato. Il panorama però ci ripaga dello sforzo. Per oggi con le salite sarei anche a posto, ma invece non abbiamo ancora finito.
Scendiamo al Colle Bruciata per poi risalire “erroneamente” sulla Cima dell’Omo (1859 m). L’errore nasce da un baco che io e quell’altro abbiamo nel cervello. Mi spiego, se arriviamo ad un bivio con un sentiero che scende o rimane in quota ed uno che sale, noi scegliamo direttamente quello che sale. Non ha importanza dove porta. Rimane il fatto che la deflagrazione della botta che faccio su questa ascesa si sentirà anche a valle. Arrivo in vetta con i gomiti, qualche minuto dopo Pietro. Lo trovo che ride e chiacchiera con altre quattro persone. Ci risiamo, Pietro loquace con ignoti? Sta succedendo qualche cosa di strano durante questo viaggio. Caracollo a terra e cerco di riprendermi. Mi pratico un’auto respirazione bocca a bocca. Dopo qualche minuto ritrovo la lucidità sufficiente per capire che uno dei quattro è un ex collega di Pietro. Conosce bene la zona e quindi chiediamo informazioni su eventuali punti acqua. Niente, ovvio…ci offrono un po’ della loro. Pietro rifiuta, tanto abbiamo le lattine…è certo…vainculo si può scrivere? Ormai l’ho fatto e non so come si fa a cancellare. Però fanno un’altra cosa importantissima sulla quale Piter non pone veto: ci mostrano visivamente dove si trova il Passo delle Radici, cioè l’acqua. Abbiamo un punto di riferimento, oh yessss…
Scendiamo e dopo poco realizziamo come l’ascesa alla Cima dell’Omo fosse stata un D+ in +. Se al famoso bivio avessimo tirato dritto, avremmo girato intorno al monte, rimanendo in quota. Ma Pietro è più contento così, altrimenti non avrebbe incontrato il suo ex collega. Dice. Lui. Non io. Dog of Beasts.
Dunque, ripartiamo con la contentezza di Pietro. Io sono stanco, disidratato e a corto di acqua…ma ho le lattine, “un’ancora di salvezza” che mi tiene su il morale. A me, non a lui, perché oggi un gliele dò nemmeno se stesse per morì. Oh! Un è vero, però mi piace pensare che lo sia. Vabbè…
Mi spengo, entro in modalità safety e setto il GPS del cervello su quel prato, oltre il quale c’è acqua in abbondanza. Ora so, ma in quelle ore non me ne sono accorto, che abbiamo passato posti tipo Cime di Romecchio (1786 m), Monte Romecchio (1700 m), Bassa del Saltello (1597 m), Monte Albano (1669 m), Monte Spicchio (1655 m). Il sentiero finisce su un tratto di asfalto, in prossimità del cartello che ci segnala l’ingresso nella provincia di Modena. Ci trasciniamo su un paio di chilometri bitumosi ed arriviamo al Passo delle Radici (1529 m). Sono le 18:00, credo. La prima struttura che incontriamo è una piccola chiesa, la seconda è l’albergo. Nel mezzo, c’è lei, bella come non mai, limpida, fresca, abbondante: l’acqua. Meglio di una phia. Ci sediamo accanto alla fonte, le parliamo, flirtiamo e la prosciughiamo. Beviamo come se non ci fosse un domani. Ci sciacquiamo testa, braccia, gambe. La disidratazione che avevo raggiunto era importante e come mi succede in questi casi, dopo aver bevuto comincio ad avere dolori alla pancia. Troppa acqua tutta in una volta. La reidratazione è un processo lento. Entriamo nel bar/albergo e ordiniamo come da protocollo i due panini con crudo e pecorino per corroborare e le due Moretti da 66cl per annaffiare.
Mangiamo e beviamo con molta calma. Aggiungiamo un ingrediente in più, le patatine. Cominciamo a riflettere, il programma prevede di continuare e dormire all’aperto in autonomia. Ma siamo stanchi e fatichiamo a recuperare. Abbiamo percorso 30Km e 1800 D+. Siamo sotto la media giornaliera. Ci poniamo una domanda “siamo qui per divertirci o per patire?”. Chiediamo informazioni sulla disponibilità di camere. Cena, pernotto e colazione, 55€. Bevande escluse. Prendiamo la chiave e andiamo a farci una doccia. Il bagno è un loculo prefabbricato piccolo anche per un nano. Farci la doccia è un mix di coordinazione, incastri ed equilibrismo. Però vinciamo noi.
Ci rilassiamo sul letto e reidratiamo lentamente. Questa volta lui non ci prova, peccato, avrei avuto voglia. Alle 19:30 scendiamo per la cena. Iniziamo a riprogrammare il viaggio. Mettiamo decisamente in dubbio la possibilità di arrivare a Filattiera per la domenica sera. Mancano ancora 80Km abbondanti. L’ipotesi che prende corpo è quella di separarsi la domenica a pranzo: io mi sarei fatto recuperare a Cerreto Laghi, mentre lui avrebbe proseguito in solitaria per arrivare a Filattiera il lunedì. Allertiamo la Recupero Deficienti S.r.l.. Ci mangiamo penne, polenta con i funghi e patate arrosto. Petrognola al Farro per me, un litro di vino rosso per lui. Maciniamo il tutto. Io mi avvio in camera. Lui finisce il vino. Si presenta in camera mezz’ora dopo briao lesso: capirai, un regge un bicchiere di birra figuriamoci un litro di vinaccio… comunque, poco dopo le 21:00 siamo già a letto. Credo.
Livello 2: Se sei arrivato a leggere fino a questo punto vuol dire che non hai molti interessi nella vita. Se hai un partner probabilmente lo trascuri. Non hai ancora trovato il lavoro ideale. Sicuro di voler continuare a leggere?
Sabato 14 luglio
Facciamo colazione in stile anni ’80. Riempiamo le borracce e questa volta anche la Camel: deh, dopo la musata di ieri… Ore 8:30 risiamo in marcia. Iniziamo subito con una bella salita. Il sentiero è largo e ben percorribile. Il cielo è sgombro di nuvole. Si prospetta un’altra giornata molto calda. Memori del giorno precedente, quando il primo punto acqua, al Bivacco le Maccherie, ci richiede di fare circa 2Km fuori traccia con 150m di dislivello da percorrere, non titubiamo minimamente ed andiamo a fare il pieno. Risaliamo al Passo del Giovarello (1663 m) e rimontiamo in sella allo 00. Il sentiero rimane in quota senza passare dalla vetta del Monte Giovarello. L’Alta Via è tutta lì davanti a noi. Riusciamo a vedere in un solo colpo d’occhio, diversi chilometri del sentiero da percorrere. Le Forbici (1817 m), Monte Cella (1942 m), Monte Vecchio (1982 m) e finalmente facciamo capolino sopra i 2000 metri: Monte Prado (2054 m). Oggi andiamo alla grande. Abbiamo un passo medio di poco inferiore ai 4 Km/h. Troviamo acqua con una certa regolarità. La giornata comincia a prendere una piega decisamente migliore di quanto previsto. L’aria lassù è abbastanza fresca. Facciamo una breve sosta in vetta, scambiamo due parole con un biker e ripartiamo. Camminiamo in mezzo alle farfalle. Canticchio “farfallina bianca bianca…”.
Monte Castellino (1947 m), Monte Ravaianda (1761 m), Le Porraie (1834 m), Monte Soraggio (1833 m), Monte Sillano (1874 m) e finalmente Passo Pradarena (1579 m). E’ l’ora di pranzo, abbiamo già percorso 20 Km e stiamo benissimo. L’entusiasmo è tornato con noi. Ci prendiamo due belle birre medie, i due soliti panini e un pacchetto di patatine. Io pesto una…popo???cacchetta???feci??? sì insomma, quella lì. Ricarichiamo telefono e GPS. Reintegriamo le borracce e ripartiamo. Iniziamo a rivedere nuovamente i nostri programmi…ipotizziamo anche di camminare tutta la notte per essere a Filattiera nella tarda mattinata di domenica. Miracoli dell’idratazione…ci sembra pure di essere belli, soprattutto a lui.
Riprendiamo il sentiero. Adesso camminiamo per lo più nel bosco. Monte la Nuda (1894 m). Arriviamo al bellissimo bosco sopra Cerreto Laghi. Troviamo una coppia nel bosco che proviene dalla direzione opposta alla nostra. Pietro chiede indicazioni (ancora?!?) sul sentiero che dovrebbe scendere giù a Cerreto. Loro dicono di non aver visto nessun sentiero. Ringraziamo e salutiamo. Dopo un minuto di cammino eccolo lì, con tanto di cartello a prova di Gabriele&Pietro. Vabbè. Scendiamo. Scendendo, troviamo diversi torrenti ricchi di acqua. Ci diamo anche una bella lavata. Pietro vorrebbe fare il bagno ma non ha dietro i braccioli. Arriviamo in paese nel tardo pomeriggio. Beviamo acqua alla fontanella di lato al lago. Proprio lì davanti a noi c’è una pizzeria a taglio. Fantastico!!! Ordiniamo due pizze e due birre. Corroboriamo alla grande. Incredibilmente non riusciamo a finire le pizze, da quanto sono grosse. Ci facciamo incartare gli avanzi per la colazione della mattina seguente. Intanto sullo sfondo compaiono delle bruttissime nuvole nere. Temiamo l’arrivo di un temporale, ma consultando la App “MeteoRadar”, capiamo che la cosa passerà lì vicino, ma non sul nostro percorso. Ripartiamo, sazi e ben idratati. Camminiamo per alcuni chilometri su bitume, fino al Passo del Cerreto. Rientriamo su sentiero e dopo poco ricominciamo a salire. Un paio di chilometri e la situazione si complica. Troviamo un gregge di pecore poco sopra la nostra via. Mentre ci avviciniamo, uno dei cani pastore comincia ad abbaiare e si ferma subito sotto al sentiero. Il pastore, inteso come umano, è lontano e non ci considera. Dunque, poco umano. Il cane non gradisce la nostra presenza. C’è Pietro, e lo capisco. Intanto scende anche un altro suo collega. Pietro inizia a parlargli, ma i due non si capiscono molto. Saliamo qualche metro sopra al sentiero e passiamo oltre con passo felpato. Il peloso continua a seguirci abbaiando. Can che abbaia non morde, dice. Lo lascio dire a chi lo dice, io però un certo timore ce l’ho. Arriviamo dal pastore poco umano e salutiamo. Pietro chiede addirittura scusa per il disturbo. Comincio a dubitare di essere con il sosia buono.
Proseguiamo. Il peggio sembra passato, invece no…ancora più in alto, vicino al sentiero, c’è un altro pastore inteso come cane. Questo non abbaia, ringhia. Il pastore uomo non si vede. Ci stiamo cacando sotto, e qui anche lo spavaldo Piter da Pisa. Se dice il contrario, mente. Pronti a fare a manate con il peloso, andiamo oltre con passo leggero. Tutto va per il meglio. Raggiungiamo le Sorgenti del Secchia, e scopriamo un piccolo paradiso. E’ un enorme prato, ideale per fare campeggio libero. Talmente ideale che ci sono già almeno venti tende montate con altrettante grigliate in essere. L’odore è assai invitante. Ma c’è troppo caos, qualcuno ha pure la musica a tutto bordone. Violenza e sacrilegio della natura. Eeeeehhhh l’umano…
Proseguiamo ed affrontiamo un’altra ascesa impegnativa fino al Passo di Pietra Tagliata (1779 m). Siamo all’imbrunire. Tiriamo fuori le frontali e scendiamo. Ho l’impressione che stia iniziando a piovere. Vedo delle gocce sul fascio di luce della frontale…sono insetti attratti dalla luce. Ok, pensate pure quello che volete, non mi interessa. In fondo, avete ragione voi.
Iniziamo a valutare di accamparci per la notte. La luce ormai è pochissima. Troviamo un cartello che indica il Bivacco Ghiaccioni a 5 minuti. Andiamo, ovviamente si sale. Il Bivacco è spettacolare, organizzatissimo. Ci sono 4 posti letto, ma due sono già occupati da altrettanti ragazzi. Maschi. Pietro socializza, ovvio, io no. Mi affaccio nel bivacco ma dentro fa troppo caldo perché ci hanno cucinato la cena. Decidiamo di dormire fuori. Pietro monta l’amaca, io la tenda. Prima di addormentarmi, sento dei gemiti strani. Non voglio sapere nulla.
Grande giornata: oltre 53Km percorsi e quasi 2100 D+. Abbiamo cambiato le sorti del viaggio: oramai mancano meno di trenta chilometri a Filattiera. Puntiamo la sveglia alle 5:00 e ci abbandoniamo tra le braccia di Morfeo.
Livello 3: Se sei arrivato a leggere fino a questo punto hai decisamente problemi nella socializzazione. Probabilmente, anzi sicuramente, vivi nel disagio cercando appoggio ed approvazione nei tuoi simili.
Domenica 15 luglio
Sveglia puntuale alle 5:00, smontiamo l’accampamento. Io finisco la mia pizza. Sono le 5:40 e ripartiamo. Siamo carichissimi, ormai vediamo l’arrivo lì a portata. Non sappiamo invece che questa sarà la giornata in assoluto più dura e difficile, e tutto esclusivamente per colpa nostra.
Si inizia alla grande, con il mio naso che dopo poco comincia a sgorgare sangue peggio di una sorgente. L’ironia della sorte in certi casi è quantomeno bizzarra.
Raggiungiamo rapidamente il vicino rifugio Sarzana. Dobbiamo fare acqua. Al rifugo troviamo un simpatico canino che ci fa da cicerone, ma non ci sono fonti. Ce n’è una nel bosco a 5 minuti di cammino. Io vado a fare il pieno, Pietro no. Il suo programma è di farla più avanti in zona Lago Paduli. Arriviamo al Lago con annessa diga. Bel colpo d’occhio, ma a parte l’acqua dell’invaso, non ci sono fonti, risorgive o torrenti di sorta. Proseguiamo fino al Lago Squincio dove facciamo una sosta. Finiamo la pizza di Pietro e le ultime due lattine di Energy Drink. Fine del bonus. Altro errore, a posteriori. E siamo a due. Ma ancora non sapevamo. Ripartiamo. Arriviamo al bivio dell’errore n°3, forze il più importante. Scelta: Girare a sinistra sullo 00 per fare tutto sentiero di cresta, con la certezza di non trovare acqua oppure scendere a Prato Spilla (1350 m), fare acqua e risalire al Passo del Giovarello (1752 m). Pietro mi chiede se posso dargli mezzo litro della mia acqua. Io ho ancora poco meno di tre litri. Valutiamo che i chilometri da fare in cresta non sono poi tantissimi. Accetto. Imbocchiamo lo 00.
Saliamo a Cima Canuti (1773 m). E’ caldo, abbestia. Tira vento. Cominciamo a capire che sarà dura. Molto dura. Consumiamo molta acqua. Troviamo una struttura fatta di pietre che regala qualche metro di ombra. Ci riposiamo e raffreddiamo qualche minuto. Cerchiamo di interpretare le vette davanti a noi. Abbiamo ancora tre cime sopra i 1800m da conquistare: Bragalata (1856 m), Sillara (1859 m), Matto (1837 m). Però sulla carta, intesa come mappa cartacea, sembrano vicine. Davanti a noi ci sono proprio tre cime ravvicinate. Ci illudiamo che siano le nostre tre, in filotto. Mentiamo sapendo di mentire: tra la prima e la seconda infatti c’è una differenza in altitudine decisamente superiore rispetto a quei 3 m di cui parlano le mappe. Non è produttivo mentire a se stessi. Comunque la terza di quelle cime è il Monte Bragalata, ovvero la prima delle nostre tre.
Riprendiamo il cammino. Entriamo nella zona del Parco dei Cento Laghi: paesaggisticamente la zona più bella di questo viaggio. Dopo alcuni minuti, scorgiamo un laghetto poco sotto di noi, il Lago Martini (1700 m). Lasciamo gli zaini sullo 00 e scendiamo sperando di trovare una risorgiva. Niente. Ovvio. Ci rinfreschiamo la faccia e torniamo in quota dai nostri zaini. Speriamo che qualche anima pia ce li abbia rubati, ma quando servono non ci sono mai. Il morale cala ulteriormente. Cominciamo a razionalizzare l’acqua. Sappiamo che più avanti ci sono dei rifugi dove potremmo trovarla, ma dobbiamo scendere e quindi risalire, molto. Non è facile scegliere.
Conquistiamo il Bragalata, su cui troviamo una signora con cagnolina al seguito. Vorrei chiederle un pò di acqua, ma mi scoccia e non trovo il coraggio per farlo. Oggi è domenica e c’è molta gente in giro…se proprio si mette male, chiederò acqua a qualcuno. Mi dico. Ma non lo farò.
Arriviamo in cima al Monte Sillara. Incontriamo e conosciamo un ragazzo in assetto da trail. Assai loquace e simpatico, decide di fare un pezzo insieme a noi. In fin dei conti deve fare il nostro stesso sentiero. Parla con Pietro (borda!) o sosia buono che sia. Dobbiamo conquistare ancora l’ultima vetta, il Monte Matto (…mai nome fu più azzeccato). Ce lo indica… è piuttosto lontano, ma oramai penso solo a camminare. Lamentarsi e preoccuparsi non solo non serve a niente, ma può diventare anche pericoloso. Io vado del mio passo, per ottimizzare il consumo di acqua e mi stacco leggermente. Rimango indietro, intendo…
Conquistiamo il Monte Matto. In vetta ci sono molte persone. Io ho poco più di mezza borraccia di acqua. Trovo il sosia di Pietro a chiacchiera con un ragazzo cartinato (che possiede una cartina del luogo). Il sosia sta chiedendo notizie circa punti acqua in zona. Li sotto, dice, c’è la Fonte del Vescovo. Poco più avanti troveremo un sentiero sulla destra, che scende…parecchio…ed in fondo c’è la fonte. Impennata di morale, ma con riserva. Quanto c’è da scendere? Ecco appunto. Arriviamo al bivio, e la fonte è laggiù…piuttosto giù, parecchio giù, dimorto giù. Tra scendere e risalire ci vorrà circa un’ora. Tutto sotto il sole. Stimiamo essere più o meno il solito tempo che ci manca per arrivare al Passo dell’Aquila dove inizierà la discesa verso Filattiera. Pietro non vuole scendere. Ooohhh è tornato l’originale! Io mi offro di scendere senza zaino, se lui rimane al passo a guardare gli zaini. Rifiuta la mia allettante proposta e decide di proseguire lentamente. Ha ancora due sorsi di acqua che reputa sufficienti. Sìììììììì, è lui! Mi mancava… A questo punto devo fare io la mia scelta. Scendo a fare acqua e lo raggiungo dopo o proseguo anche io? Faccio le mie valutazioni con incredibile lucidità. Ritengo di riuscire a fare ancora un’ora e mezzo con l’acqua che mi è rimasta. Proseguo. Ci manca un’ultima salita, il Monte Aquila (1780 m). Quest’ultimo tratto sarà uno dei più prolifici per le mie riflessioni. La disidratazione spinta a livelli piuttosto avanzati ti obbliga ad isolarti dall’esterno e ti impone di guardarti dentro. Iniziano quei famosi pensieri di cui parlavo sopra. Imparare a domarli può essere di vitale importanza. Appena arrivato a casa ho cercato di riscrivere quanto più ricordavo delle riflessioni fatte, dei pensieri e delle immagini che sono transitati nella mia mente in quei momenti. Alcuni li condivido così come sono usciti:
Ho sete, potrei morire disidratato. Vedo alla mia destra un altro crinale distante 4-500m in linea d'aria, su cui scorrono dei torrenti. Vedo tantissime farfalle intorno a me e penso a come sarebbe bello potermi trasformare in una di loro e poter volare sull'altro crinale per dissetarmi. Sarebbe così facile.
Alla mia sinistra una vallata ed in fondo un paese. Lì c'è pieno di acqua da bere. Sembra tutto così crudele. Basterebbe essere qualche centinaio di metri più a destra o a sinistra e sarei salvo. Eppure sono lì, con le labbra secche, le gambe tremanti ed il passo incerto. La cresta per un momento diventa quella linea sottile che separa la vita dalla morte. Anni errati di programmazione hanno reso il mio inconscio un tribunale inquisitorio. Infierisce drammaticamente con progressivi sensi di colpa che se non vengono arginati con la frazione conscia, degenereranno rapidamente in panico. Ma il conscio è stanco, ha la nausea, non ha più voglia di parlare. Ormai il mio cervello è focalizzato soltanto sulla sopravvivenza. Il suo focus più importante. E quindi cosa fa? Quello che gli è stato insegnato sin da bambino: chiedere aiuto alla mamma. Ma qui non c'è proprio nessuno che possa aiutarmi. Ci sono soltanto io. Se sono finito in questa situazione è soltanto il risultato delle mie azioni. Ed è proprio in questo momento che può scattare il click. Che tutto inizia ad apparire per quello che è.
La montagna non ti uccide, siamo noi a morire se commettiamo un errore. Quella linea sottile che separa la vita dalla morte si percepisce molto più nitidamente lassù. Eppure la vita è la stessa. Ma cambia il modo di pensare. Lassù quel guscio di onnipotenza che ci crea la vita in città, si frantuma. Hai un problema? Te lo devi risolvere. Anzi, ancora meglio se impari a prevenire. La natura non è né buona né cattiva: semplicemente è. La natura non ti commisera e non ti compiace. La natura risponde a ciò che le dai. Il bene ed il male, il buono ed il cattivo, il paradiso e l'inferno sono speculazioni della mente umana, personali interpretazioni di ciò che accade. Nella quiete delle montagne così come nel silenzio delle profondità del mare, lontani dal caos antropico e dal bombardamento di informazioni che ci stordisce ed allontana dalla realtà, tutto appare più semplice, limpido. Così com'è. Fa paura iniziare a scoprire se stessi. Ci sentiamo ospiti in casa nostra. Stranieri. Già, non ci siamo proprio abituati a dover essere noi per forza. Lassù come laggiù, nessuno ha compassione, nessuno ti giudica, nessuno ti vuole bene o male. Se commetti un errore, non puoi dire...ma io non volevo, lo giuro! Ero in buona fede. Se commetti un errore lo paghi. Non ci sono differenze di sesso, razza o casta. Non puoi pagare per rimediare. Se farai tutto bene, nessuno ti applaudirà. Però crescerà la tua autostima. Lassù e laggiù scopri questa apparente fragilità. Scopri il piacere di vivere ed agire per te stesso e non per compiacere gli altri. Perché fuori da noi avvengono dei fatti. Questi sono la normale e naturale risposta a degli atteggiamenti o eventi. Ma sono dei dati. Dei bit per dirla in linguaggio informatico. È il nostro cervello che poi li elabora e li interpreta dandoci come risposta finale delle emozioni. Lassù e laggiù dove il caos svanisce, tutto questo diventa più chiaro, più nitido. Ma non per questo più facile da vivere.
Eccoci al Passo dell’Aquila. Pietro mi informa che Alvaro ci sta aspettando poco più sotto. Inizia la discesa. Sentiero 124. Dall’alto vediamo il Rifugio Baita Porcili. Il cartello dice 45 minuti. Ho ancora tre sorsi di acqua. Riaffiora un “cauto ottimismo” come direbbero i membri dello zatterone. Ma il sentiero non è affatto agevole. Una pietraia continua. Il passo è traballante. Non c’è ventilazione, ed il caldo è veramente fastidioso. Scendendo iniziamo a trovare piante di mirtilli con quelle bellissime bacche già mature. Ne raccolgo un bel po’ e li mangio con gusto. Sali minerali, acidità che stimola la salivazione ed un minimo di idratazione. Il Top. Mi fermo altre due volte a fare il pieno di bacche. Penso a Nello. Chi è Nello? O meglio, cos’è Nello? Presto saprete…
Finalmente arrivo alla Baita, stremato. Ho ancora un sorso di acqua nella borraccia. Sono fiero di me. La struttura è veramente bella. Però è chiusa. Comincio a guardarmi attorno, ma non vedo né fonti né Pietro né il suo sosia. Dovrei sudare freddo, ma non ho più liquidi da sudare. Rimango calmo e mi dico che sicuramente la soluzione c’è. Infatti voltandomi vedo un cartello con una freccia ed una scritta: Fonte. Ho l’impulso di piangere, ma anche le lacrime sono fatte di acqua, quindi, niente.
Dieci metri più avanti c’è Pietro, seduto. Non dice niente, mi tira la sua bottiglia da 1,5 litri piena di acqua. Non è Pietro, è il sosia. In due sorsi bevo oltre un litro di acqua. La fonte butta poco, ma butta…quello è l’importante. Riempio le borracce. La Camel no. Ripartiamo in direzione Alvaro.
Abbiamo ancora mezz’ora di cammino in discesa su sentiero ciottoloso. I piedi non ringraziano. Appena scendiamo sotto i 1100m di altitudine entriamo in una cappa di caldo umido da paura. Ma oramai abbiamo l’acqua con noi, è solo questione di tempo. Un passo avanti all’altro.
Mancano poche centinaia di metri al punto di incontro. Pietro fischia forte per avvertire Alvaro del nostro arrivo. Ma non riceviamo risposta. Temiamo il peggio. Pochi passi ancora, ed eccolo lì, bello come il sole. Ci saluta e ci scorta alla fonte dell’acqua con abbeveratoio annesso. Guardiamo dentro e ci sono ben 6 Menabrea da 66cl conservate al fresco. Questa è arte signori! Sono tutte per noi. E’ un’emozione fortissima. Un gesto semplice ma con un significato enorme. Ci sdraiamo a terra esausti. Ci porta la torta salata della nonna di Pietro (o mamma di Alvaro che dir si voglia). La cosa migliore che ci potesse esser offerta. Semplicemente fantastica. Raccontano che fosse tanta. L’abbiamo spolverata in due minuti. Alvaro tira fuori un’altra chicca: medaglia commemorativa per il viaggio di Pietro…240 Km e 13000 D+. Sciapò. Gliene metto al collo.
La quarta e ultima tappa si chiude con 26 Km e 2300 D+ portando il totale della Pracchia-Pontremoli a 145 Km ed oltre 8000 D+.
Al paese vero e proprio mancano ancora 7-8 Km di bitume, rigorosamente tutti sotto il sole. Non prendiamo minimamente in considerazione l’ipotesi di farceli a piedi. Il nostro viaggio si conclude qui.
Alvaruccio ci porta a fare una doccia ed un saluto alla mitica nonna di Pietro. Quindi un saluto a Pietro Pagani, con birra, ed in men che non si dica siamo sul treno Filattiera – Pisa.
Sono finite le emozioni? Giammai.
Arriviamo in stazione centrale a Pisa e proprio mentre scendiamo dal treno io inizio a sentirmi male. La sensazione è quella di una congestione…mi gira tutto, mi viene da vomitare ed inizio a sudare in maniera pazzesca. Per fortuna trovo subito una panchina. Mi siedo, respiro lentamente. Il sosia di Pietro si mette accanto a me. E’ un pò preoccupato. Dieci minuti di relax e mi riprendo.
Andiamo a piedi verso casa mia. Accompagno Pietro a recuperare la sua bicicletta. Arriviamo alla rastrelliera all’inizio di via Sant Antonio. Noi siamo lì, la rastrelliera pure. La bici no. L’hanno rubata! Vedi? Troppo comodo così…la bici in centro città sì, ma gli zaini a 1900 m no! Delinguenti, quanto servite non ci siete mai!
Carico Pietro in macchina e lo accompagno a casa. Adesso è finita sul serio. Anzi no, ancora il tempo di fare il peso lordo (io più vestiti, più zaino, più marsupio) e la tara (io gnudo) …differenza venti chili circa. Roba da gatti fradici.
Un altro bellissimo viaggio completato, altri meravigliosi ricordi creati.
Conclusioni
Non ci sono
Ringraziamenti
Una nuova occasione per ringraziare Pietro (e il Sosia), per la sua Amicizia, per la compagnia, per le cose che ogni volta mi insegna, per la pazienza che ci mette nel sopportarmi, ma soprattutto per dare a me la possibilità di sopportarlo.
Un grazie di cuore va, alla Recupero Deficienti S.r.l. ed in modo particolare al suo Presidente Alvaro, ed alla mitica nonna di Pietro (…è nonna anche del Sosia?).
Next Time.
Livello 4:Se sei arrivato a leggere fino a questo punto beh, sei Pietro Leoncini (e non il suo Sosia). Come? Dici di non esserlo? Ahahahahah…lo sei, lo sei anche tu. Ma la cosa grave è che non lo sai!
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