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Da Pracchia a Filattiera di Gabriele Ianett

Antefatto

Non ricordo in quale punto dell'Appennino fossimo, ma era il terzo o quarto giorno di cammino. Eravamo decisamente provati. Pietro rompe il silenzio… "ma, l'anno scorso, non avevamo detto di smetterla con queste stronzate?" Io prontamente lo bacchetto..."noooooo! Dicemmo che poteva bastare con le Apuane e che era il caso di iniziare ad esplorare l'Appennino!".

 

Fu proprio lui, durante la EquiTerme-Tirrenia® dello scorso anno, in uno di quei mistici momenti in cui il disagio mescolato alla stanchezza stimolano la creatività, a proporre la Pracchia-Filattiera®.

Progetto con qualche ambizione in più rispetto ai precedenti, non tanto per il chilometraggio, quanto per il dislivello positivo da affrontare e la scelta di farlo in totale autonomia. Tradotto: i 145Km erano una distanza di poco superiore ai viaggi precedenti, ma gli oltre 8000 D+ risultavano stimolanti più per la fantasia che non per le gambe, in virtù anche dei cilici che avremmo dovuto portare sulle nostre spalle. Tutto, però, trova un suo equilibrio nel momento in cui applichiamo il nostro mantra: “ma a noi ci importa una…”. L’unica vera ambizione è quella di partire ed essere lì a godere, a modo nostro, di tutto quello che la montagna è in grado di regalarci. Se non riusciamo a completare il programma abbiamo sempre la “Recupero Deficienti S.r.l.” a supporto. Un enorme valore aggiunto nella programmazione dei nostri viaggi. E i ringraziamenti, verso persone che in quei giorni fanno a gara per dare la loro totale disponibilità nell’esserci di supporto in ogni dove ed in ogni quando, non saranno mai sufficienti.

A giugno il progetto inizia a prendere forma. Individuiamo il weekend: da giovedì 12 a domenica 15 luglio. Pietro, essendo in ferie tutta la settimana, decide di ampliare e rendere ancora più ambizioso il tutto: partenza il lunedì mattina da Sasso Marconi. Il nostro ritrovo ufficiale diventa quindi giovedì mattina ore 8:50 in stazione a Pracchia.

La settimana prima della partenza ci troviamo a casa mia per pianificare il viaggio nei minimi dettagli.

Il progetto è quello di percorrere quanto più possibile il sentiero di cresta, la così detta Alta Via, camminando lungo la GEA (Grande Escursione Appenninica), l’Alta Via dei Parchi ed il Sentiero 00. Capiamo da subito che il problema numero uno da risolvere sarà quello dell’approvvigionamento idrico. Appunto.

Arriva il giorno della partenza di Pietro. Sono eccitatissimo. Ho una viscerale necessità di raggiungerlo. Quest’anno, più degli altri anni, ho bisogno di stare lassù. Devo lavorare su alcuni aspetti interiori ben precisi: parto più focalizzato e quindi più motivato.

Il martedì preparo lo zaino: tenda, amaca, sacco a pelo, materassino, un cambio completo per il giorno ed uno per la notte, giacca a vento, poncho, kit di primo soccorso e farmaci essenziali, qualche raudo, accendino, coltello, carica batterie, cellulare di emergenza, power bank, sapone ecologico multiuso, cartografia, 3 borracce ed una camel bag da 2 litri, una cordicella e poco altro. Peso il tutto e siamo già sopra i 10Kg senza cibo ed acqua. Preparo i viveri: frutta secca, miele, barrette proteiche, gel, cioccolata, bevande energetiche e sali XS. Non li peso…ho paura. Oltre allo zaino decido di portare anche il marsupio da 2 litri per poter avere facilmente sottomano gli oggetti di maggior utilizzo. A posteriori la valuto una decisione azzeccatissima, a parte la leggera lacerazione sulla schiena causata dalla chiusura. Acquisto online i biglietti del treno.

Giovedì 12 luglio

Ci siamo, è arrivata la mattina della mia partenza. Salgo sul primo treno, sono le 6:20. Devo fare due cambi, uno a Viareggio ed uno a Pistoia.

Alle 8:50 arriviamo puntualissimi in stazione, incredibile! Pietro e lì che mi aspetta, gobboni su una panchina.

Io mi presento con pantalone lungo comodo e ciabatte infradito. Mi prendo un quarto d’ora per cambiarmi. Dopo, mi confesserà che in quei minuti gli era balenata l’idea di lasciarmi lì da solo. Ma non l’ha fatto e quindi gli voglio bene. Ma tutto sommato gliene avrei voluto anche se l’avesse fatto. Però non l’ha fatto. Alle 9:15 iniziamo il “nostro” viaggio.

Lui fa da cicerone perché oramai conosce Pracchia come le sue tasche: un giorno ancora e l’avrebbero fatto sindaco. Andiamo a fare acqua e ci incamminiamo sul nostro primo sentiero, il 33.

Ci aspetta una prima lunga salita di oltre 1200D+. Attraversiamo un primo gruppetto di case per poi entrare rapidamente in una bellissima Faggeta. Il sentiero è largo, pulito e ben segnalato. Però c’è qualche cosa che non va. Siamo partiti da più di mezz’ora e Pietro non si è ancora chetato. Ho paura, tre giorni di solitudine hanno fatto peggio del vino, rendendo pericolosamente loquace un taciturno brevettato. Comincio a temere per la notte!

Comunque decido di sfruttare il momento di innaturale loquacità per carpirgli informazioni: perché “Pracchia”? L’arrivo a Filattiera lo sapevo, ci abita la sua nonna ultranovantenne che ha più lucidità di taluni ventenni contemporanei e poi fa delle torte salate al cui cospetto i vari Cracco & Friends sono dei dilettanti. Ma perché aveva deciso di partire proprio da lì? In fin dei conti, dopo oltre mezz’ora di cammino, forse sarebbe stato utile anche saperlo.

Perché ci arriva il treno”. Ecco.

Salendo, la Faggeta muta naturalmente in Abetaia.

Incontriamo un austro-tedesco che sta percorrendo la GEA in direzione opposta alla nostra. E’ partito da due settimane, da solo, in totale autonomia. Ha intenzione di percorrerla tutta. Cerchiamo di dirgli che ha uno zaino enorme, ma non riusciamo a dialogare in nessuna lingua, e a dirla tutta, abbiamo difficoltà anche con i gesti. Ci salutiamo, ma dopo pochi passi, emette un suono. Non so di preciso su quale, tra gli oltre 20 sensi di cui siamo dotati, sia riuscito a far leva per farci capire di fare acqua alla fonte segnalata poco più avanti, poiché al successivo Rifugio del Montanaro non ne avremmo trovata. Però c’è riuscito. Era un messaggero.

Poggio dei Malandrini. Associazioni immediate: Bussino, Banda dei Malandrini, UltraWild, Corri&Salsiccia. Foto e continuiamo a salire. Entriamo nella nebbia.

Welcome in Ireland. Siamo sul sentiero di cresta. Le nuvole corrono veloci giocando con forme e colori, mutando continuamente il paesaggio in un instancabile vedo non vedo. L’altitudine ha modificato radicalmente la vegetazione: abbandonato il bosco, adesso tutto intorno a noi abbiamo solo montagne rivestite di verdi prati e piccoli arbusti. Cominciamo a familiarizzare con la pianta regina indiscussa di queste montagne: il mirtillo.

Fonte Uccelliera (1650 m) per un rabbocco delle borracce. L’aria è fresca ed il consumo di acqua è limitato. Passo del Cancellino (1632 m) e Passo dello Strofinatoio (1847 m) sono due tappe intermedie necessarie per raggiungere il primo traguardo di giornata: il Lago Scaffaiolo (1785 m).

E’ una tappa, questa, a cui tengo parecchio. Mio nonno era di Sestola. Ci venivo spesso da bambino e ricordo ancora con affetto il sentiero che dalla Croce Arcana porta fino al lago: oggi è una breve passeggiata ma allora, per me, rappresentava un piccolo viaggio. 

Il lago Scaffaiolo è un luogo magico dove regna la quiete. Taumaturgo. Spesso avvolto nella nebbia, ha un che di fiabesco. Naturalmente scavato, nascosto e protetto dentro ad una conca, è  alimentato  da acque piovane, dalla fusione delle nevi e da una falda. Scrisse di lui anche il Boccaccio:

« Scaffaggiuolo, lago picciolo è nell'Appennino, il quale fra la regione di Pistoia e Modena s'inalza, e più per miracolo che per la copia dell'acqua memorabile, perocché, come dànno testimonianza tutti gli abitatori, se alcuno da per sé, ovvero per sorte, sarà che getti una pietra o altro in quello, che l'acqua muova, subitamente l'aere s'astringe in nebbia e nasce di venti tale fierezza che le querce fortissime e li vecchi faggi vicini o si spezzano o si sbarbano dalle radici »

Poco distante dal lago si trova il più antico rifugio alpino dell'Appennino Tosco-Emiliano, il Rifugio Duca degli Abruzzi, inaugurato il 30 giugno 1878.

Arriviamo al rifugio alle 14:00 e ci imbattiamo in una simpatica gara di Orienteering. L’accoglienza della struttura non è proprio delle migliori, e questo ci fa dispiacere. Sembra che l’ora sia tarda per avere due panini e quindi ci viene offerta della polenta fredda, senza sale, corroborata da due fette di formaggio diaccio. La innaffiamo con le solite due birrine. Meglio di niente…ma deh!

Due polente, due birre ed un caffè per un totale di 25€ e ripartiamo.

Usciti dal rifugio troviamo un bel vento. Abbiamo quasi freddo, strana sensazione in questo periodo. Ci copriamo bene e riprendiamo a camminare proprio mentre arriva il camion degli spurghi. Insolito in questi contesti. Pietro vorrebbe farci un selfie…mi sembra troppo. Una foto ricordo può bastare.

Scendiamo verso il lago e la magia si accende. Non riesco a descrivere questo luogo con lucidità. Troppi sono i ricordi e le emozioni vissute in questo posto, con persone che adesso purtroppo non ci sono più. Percorro il lato lungo del lago in assoluto silenzio, godendomi ogni passo, ogni emozione.

Proseguiamo sul sentiero, superiamo il Passo della Calanca (1731 m) e raggiungiamo il Passo della Croce Arcana (1669 m). Dopo alcuni scatti di rito al Memoriale ai caduti della Seconda Guerra Mondiale, riprendiamo il cammino. Prossima meta, cima Tauffi. Intanto la nebbia si dirada e l’orizzonte diventa sempre più limpido. Il sentiero di cresta è un esile traccia che scivola via come un serpente nel verde di queste montagne.

L’ascesa al Tauffi (1799 m) non è assolutamente banale. Facciamo un pò di fatica. Raggiunta la vetta ci godiamo il panorama, regalandoci una breve sosta.

Stiliamo un primo bilancio della giornata e prendiamo la decisione di dormire all’Ostello di Boscolungo, subito sotto l’Abetone, seguendo la GEA ed abbandonando momentaneamente lo 00. Telefoniamo per prenotare, ma purtroppo non hanno posto. Ci segnalano l’Hotel Primula con il quale hanno una convenzione. Chiamiamo l’Hotel e prenotiamo. Abbiamo però ancora un po di strada da fare e non è soltanto discesa: dobbiamo conquistare ancora il Libro Aperto (1936 m). Lo facciamo. A questo punto, dalla vetta all’Hotel sarà solo una dolce discesa. Ci stiamo alla grande con i tempi, quindi decido di prendermela con calma e godermi il paesaggio. Il sole comincia a calare ed i colori virano verso le tipiche tonalità pastello su note aranciate. Poco prima di raggiungere Boscolungo, di lato al sentiero, ci imbattiamo in un formicaio impressionante, alto almeno un metro e mezzo. In pratica guasi quanto me.

Raggiungiamo l’Hotel e terminiamo la prima giornata (per me) con 35Km percorsi e 2400 D+. Ci facciamo una doccia, ci cambiamo, facciamo il bucato e scendiamo a reintegrare le calorie consumate. La padrona è molto cordiale. La cena è ottima ed abbondante: tagliolini al ragù di cinghiale, polpettone con spinaci, purè e patate arrosto. Bis di secondo, mega fetta di torta, caffè e grappino. Il tutto accompagnato da una Moretti per me e un quartino di vino per lui. Alle 22:00 siamo già a dormire. 

Livello 1: Se sei arrivato a leggere fino a questo punto sei un tipo tenace, però non completamente equilibrato.

 

Venerdì 13 luglio

Ore 6:00 sveglia. Ore 6:30 ottima ed abbondante colazione. Saldiamo il conto: 45 € a testa. Cifra più che onesta. Salutiamo e ci rimettiamo in cammino. Sono le 7:30 precise. La ripartenza è ideale. Leggera salita nel bosco su sentiero largo e ben percorribile. Prima meta, Lago Nero (1730 m). Circa un chilometro prima del lago e dell’annesso rifugio, troviamo una catasta di legna ed un cartello con cui si chiede ai viandanti di contribuire al trasporto in zona rifugio. Aderiamo all’iniziativa. Pietro si avvia, io mi attardo un paio di minuti. Quando riprendo il cammino, procedendo a testa bassa a causa del legno che porto sulle spalle, non vedo la deviazione per il lago e ovviamente proseguo sul sentiero sbagliato: sai che novità! Dopo diverse centinaia di metri in salita mi sorge un dubbio, che ben presto diventa certezza: sono fuori traccia. Grazie ad “Avenza Maps” ritrovo la diritta via. Mi sorge un dubbio: ma Piter cosa avrà fatto??? Arrivo al lago, il rifugio è chiuso, Piter è aperto. Il posto è bellissimo. C’è una coppia di ragazzi che piccioneggia, e la nostra presenza forse non è graditissima. Pietro vorrebbe provarci con il lui. A me la lei non piace, quindi facciamo una micro sosta e proseguiamo sul nostro sentiero.

Saliamo in fianco al lago e dall’alto riusciamo ad apprezzare meglio la bellezza della zona.

Scoviamo anche una risorgiva in mezzo all’erba. A fatica riusciamo a riempire le borracce. Proseguendo ci troviamo di fronte al Monte Gomito. Svoltiamo leggermente a sinistra e dopo poco eccoti tutto il massiccio dell’Abetone. Larghe strade verdi, che rompono la continuità del bosco, ci ricordano che abbiamo di fronte la località sciistica più importante della Toscana. Gli impianti di risalita sono però quasi tutti fermi: siamo molto lontani dalle mentalità nordiche. Costeggiamo la Val di Luce. In fianco all’arrivo della seggiovia scopro un lago, invisibile in inverno, probabilmente perché ghiacciato e ricoperto di neve.

Foce di Giovo (1674 m). Ecco, da qui inizia la giornata 2.2. Ultimo punto acqua della giornata. Adesso lo sappiamo, in quel momento no. Avremmo dovuto saperlo, ma abbiamo sottovalutato la cosa, probabilmente perché la salita fino a quel momento era stata accettabile ed il caldo sostenibile. Riempio le mie tre borracce d’acqua, ma non la camel bag.

Iniziamo a salire verso il Monte Rondinaio (1963 m). Il caldo inizia a farsi sentire e il vento teso non fa percepire la sudorazione reale. Le labbra si seccano rapidamente e la necessità di bere si fa sempre più frequente. Il reintegro dei liquidi non è più in linea con quanto perso: ha inizio un lento ed inesorabile processo di disidratazione, la cui sintomatologia sul mio organismo conosco oramai piuttosto bene.

Progressivamente si riduce l’appetito, le gambe si fanno più pesanti, inizia a comparire qualche fastidio muscolare ed il passo diventa sempre più incerto. La concentrazione si sposta dall’esterno all’interno. Cambia radicalmente il modo di pensare. E’ tutto assolutamente normale, il cervello si setta in modalità “sopravvivenza”.  E da qui può nascere il pericolo. Lasciar vagare liberamente i pensieri diventa pericolosissimo, perché il rischio di ritrovarsi nel giro di pochi minuti nel bel mezzo di una crisi di panico è assai concreto. Già, il panico…ne avevamo parlato con Pietro proprio il giorno prima. Scaturisce da pensieri fuori controllo che innescano una spirale in negativo e che in certi contesti può portare anche al peggio. Ma sono SFP…Soltanto Fottutissimi Pensieri. A tutto c’è una soluzione, sempre! Per trovarla però ci vuole calma, autocontrollo e soprattutto padronanza nel gestire il proprio modo di pensare. Dobbiamo diventare pragmatici nel dialogo con il nostro organismo: ascoltare i segnali che ci invia ed agire di conseguenza. Ecco cosa sono venuto a cercare quassù.

Arriviamo in vetta e troviamo una simpatica combriccola di sessantenni. Qua dobbiamo prendere una decisione molto importante:

  • scendere al Lago Santo (1507 m), dove avremmo potuto riapprovvigionare l’acqua, per poi dover risalire fino a Colle Bruciata (1709 m) dove saremmo ritornati sull’Alta Via. Bilancio: 450 D- e 200D+.

  • proseguire sullo 00, rimanendo in quota, ed affrontare il Monte Giovo (1991 m). Avremmo accorciato il tragitto ed evitato il saliscendi, però ci saremmo esposti al rischio di dover attraversare un tratto di ferrata che non conoscevamo (oltretutto con i nostri cilici sulle spalle) e con l’incognita della scorta di acqua.

Socializziamo con i sessantenni e chiediamo informazioni sulla ferrata. Ci rassicurano. Per quanto riguarda la scorta di acqua, rimaniamo sereni perché comunque ho con me ancora 5 lattine di Energy Drink. E poi, il Monte Giovo che si ergi lì davanti a noi, ha una discreta carica erotica. Il dado è tratto, scegliamo il punto 2.

Cilici in spalla, torniamo a calpestare il serpentone. Arriviamo alla ferrata: oioi, oimmei. Un dente di roccia di una decina di metri, da arrampicare, con soltanto una vecchia catena arrugginita come supporto. Pietro sarebbe tornato indietro molto volentieri, e se vi dice il contrario, mente. Il suo mantra “non sarà certo peggio della Cresta Est della Pania” si scioglie come neve al sole. Il tratto da salire è breve, saranno cinque o sei prese, ma è completamente esposto e sotto di noi c’è il niente. C’è invece il vento, ed i nostri cilici diventano una componente di rischio in più. Detta così sembra più catastrofica di quanto non fosse veramente, ma la mente lavora così. Pietro sale con lo sfintere completamente contratto. Arriva in cima che suda adrenalina. Io mi sforzo a bloccare qualunque pensiero fallace. Mi concentro solo su dove fare le prese per salire. Salgo sereno e mi diverto. Il modo di pensare…già, sono qua per questo.

Ma non siamo ancora in vetta. Proseguiamo la salita, inizio a sentire la fatica…arriviamo in vetta che sono abbastanza provato. Il panorama però ci ripaga dello sforzo. Per oggi con le salite sarei anche a posto, ma invece non abbiamo ancora finito.

Scendiamo al Colle Bruciata per poi risalire “erroneamente” sulla Cima dell’Omo (1859 m). L’errore nasce da un baco che io e quell’altro abbiamo nel cervello. Mi spiego, se arriviamo ad un bivio con un sentiero che scende o rimane in quota ed uno che sale, noi scegliamo direttamente quello che sale. Non ha importanza dove porta. Rimane il fatto che la deflagrazione della botta che faccio su questa ascesa si sentirà anche a valle. Arrivo in vetta con i gomiti, qualche minuto dopo Pietro. Lo trovo che ride e chiacchiera con altre quattro persone. Ci risiamo, Pietro loquace con ignoti? Sta succedendo qualche cosa di strano durante questo viaggio. Caracollo a terra e cerco di riprendermi. Mi pratico un’auto respirazione bocca a bocca. Dopo qualche minuto ritrovo la lucidità sufficiente per capire che uno dei quattro è un ex collega di Pietro. Conosce bene la zona e quindi chiediamo informazioni su eventuali punti acqua. Niente, ovvio…ci offrono un po’ della loro. Pietro rifiuta, tanto abbiamo le lattine…è certo…vainculo si può scrivere? Ormai l’ho fatto e non so come si fa a cancellare. Però fanno un’altra cosa importantissima sulla quale Piter non pone veto: ci mostrano visivamente dove si trova il Passo delle Radici, cioè l’acqua. Abbiamo un punto di riferimento, oh yessss…                                                                                                                                             

Scendiamo e dopo poco realizziamo come l’ascesa alla Cima dell’Omo fosse stata un D+ in +. Se al famoso bivio avessimo tirato dritto, avremmo girato intorno al monte, rimanendo in quota. Ma Pietro è più contento così, altrimenti non avrebbe incontrato il suo ex collega. Dice. Lui. Non io. Dog of Beasts.

Dunque, ripartiamo con la contentezza di Pietro. Io sono stanco, disidratato e a corto di acqua…ma ho le lattine, “un’ancora di salvezza” che mi tiene su il morale. A me, non a lui, perché oggi un gliele dò nemmeno se stesse per morì. Oh! Un è vero, però mi piace pensare che lo sia. Vabbè…

Mi spengo, entro in modalità safety e setto il GPS del cervello su quel prato, oltre il quale c’è acqua in abbondanza. Ora so, ma in quelle ore non me ne sono accorto, che abbiamo passato posti tipo Cime di Romecchio (1786 m), Monte Romecchio (1700 m), Bassa del Saltello (1597 m), Monte Albano (1669 m), Monte Spicchio (1655 m). Il sentiero finisce su un tratto di asfalto, in prossimità del cartello che ci segnala l’ingresso nella provincia di Modena. Ci trasciniamo su un paio di chilometri bitumosi ed arriviamo al Passo delle Radici (1529 m). Sono le 18:00, credo. La prima struttura che incontriamo è una piccola chiesa, la seconda è l’albergo. Nel mezzo, c’è lei, bella come non mai, limpida, fresca, abbondante: l’acqua. Meglio di una phia. Ci sediamo accanto alla fonte, le parliamo, flirtiamo e la prosciughiamo. Beviamo come se non ci fosse un domani. Ci sciacquiamo testa, braccia, gambe. La disidratazione che avevo raggiunto era importante e come mi succede in questi casi, dopo aver bevuto comincio ad avere dolori alla pancia. Troppa acqua tutta in una volta. La reidratazione è un processo lento. Entriamo nel bar/albergo e ordiniamo come da protocollo i due panini con crudo e pecorino per corroborare e le due Moretti da 66cl per annaffiare.

Mangiamo e beviamo con molta calma. Aggiungiamo un ingrediente in più, le patatine. Cominciamo a riflettere, il programma prevede di continuare e dormire all’aperto in autonomia. Ma siamo stanchi e fatichiamo a recuperare. Abbiamo percorso 30Km e 1800 D+. Siamo sotto la media giornaliera. Ci poniamo una domanda “siamo qui per divertirci o per patire?”. Chiediamo informazioni sulla disponibilità di camere. Cena, pernotto e colazione, 55€. Bevande escluse. Prendiamo la chiave e andiamo a farci una doccia. Il bagno è un loculo prefabbricato piccolo anche per un nano. Farci la doccia è un mix di coordinazione, incastri ed equilibrismo. Però vinciamo noi.

Ci rilassiamo sul letto e reidratiamo lentamente. Questa volta lui non ci prova, peccato, avrei avuto voglia. Alle 19:30 scendiamo per la cena. Iniziamo a riprogrammare il viaggio. Mettiamo decisamente in dubbio la possibilità di arrivare a Filattiera per la domenica sera. Mancano ancora 80Km abbondanti. L’ipotesi che prende corpo è quella di separarsi la domenica a pranzo: io mi sarei fatto recuperare a Cerreto Laghi, mentre lui avrebbe proseguito in solitaria per arrivare a Filattiera il lunedì. Allertiamo la Recupero Deficienti S.r.l.. Ci mangiamo penne, polenta con i funghi e patate arrosto. Petrognola al Farro per me, un litro di vino rosso per lui. Maciniamo il tutto. Io mi avvio in camera. Lui finisce il vino. Si presenta in camera mezz’ora dopo briao lesso: capirai, un regge un bicchiere di birra figuriamoci un litro di vinaccio… comunque, poco dopo le 21:00 siamo già a letto. Credo.

Livello 2: Se sei arrivato a leggere fino a questo punto vuol dire che non hai molti interessi nella vita. Se hai un partner probabilmente lo trascuri. Non hai ancora trovato il lavoro ideale. Sicuro di voler continuare a leggere?

 

Sabato 14 luglio

Facciamo colazione in stile anni ’80. Riempiamo le borracce e questa volta anche la Camel: deh, dopo la musata di ieri… Ore 8:30 risiamo in marcia. Iniziamo subito con una bella salita. Il sentiero è largo e ben percorribile. Il cielo è sgombro di nuvole. Si prospetta un’altra giornata molto calda. Memori del giorno precedente, quando il primo punto acqua, al Bivacco le Maccherie, ci richiede di fare circa 2Km fuori traccia con 150m di dislivello da percorrere, non titubiamo minimamente ed andiamo a fare il pieno. Risaliamo al Passo del Giovarello (1663 m) e rimontiamo in sella allo 00. Il sentiero rimane in quota senza passare dalla vetta del Monte Giovarello. L’Alta Via è tutta lì davanti a noi. Riusciamo a vedere in un solo colpo d’occhio, diversi chilometri del sentiero da percorrere. Le Forbici (1817 m), Monte Cella (1942 m), Monte Vecchio (1982 m) e finalmente facciamo capolino sopra i 2000 metri: Monte Prado (2054 m). Oggi andiamo alla grande. Abbiamo un passo medio di poco inferiore ai 4 Km/h. Troviamo acqua con una certa regolarità. La giornata comincia a prendere una piega decisamente migliore di quanto previsto. L’aria lassù è abbastanza fresca. Facciamo una breve sosta in vetta, scambiamo due parole con un biker e ripartiamo. Camminiamo in mezzo alle farfalle. Canticchio “farfallina bianca bianca…”.

Monte Castellino (1947 m), Monte Ravaianda (1761 m), Le Porraie (1834 m), Monte Soraggio (1833 m), Monte Sillano (1874 m) e finalmente Passo Pradarena (1579 m). E’ l’ora di pranzo, abbiamo già percorso 20 Km e stiamo benissimo. L’entusiasmo è tornato con noi. Ci prendiamo due belle birre medie, i due soliti panini e un pacchetto di patatine. Io pesto una…popo???cacchetta???feci??? sì insomma, quella lì. Ricarichiamo telefono e GPS. Reintegriamo le borracce e ripartiamo. Iniziamo a rivedere nuovamente i nostri programmi…ipotizziamo anche di camminare tutta la notte per essere a Filattiera nella tarda mattinata di domenica. Miracoli dell’idratazione…ci sembra pure di essere belli, soprattutto a lui.

 Riprendiamo il sentiero. Adesso camminiamo per lo più nel bosco. Monte la Nuda (1894 m). Arriviamo al bellissimo bosco sopra Cerreto Laghi. Troviamo una coppia nel bosco che proviene dalla direzione opposta alla nostra. Pietro chiede indicazioni (ancora?!?) sul sentiero che dovrebbe scendere giù a Cerreto. Loro dicono di non aver visto nessun sentiero. Ringraziamo e salutiamo. Dopo un minuto di cammino eccolo lì, con tanto di cartello a prova di Gabriele&Pietro. Vabbè. Scendiamo. Scendendo, troviamo diversi torrenti ricchi di acqua. Ci diamo anche una bella lavata. Pietro vorrebbe fare il bagno ma non ha dietro i braccioli. Arriviamo in paese nel tardo pomeriggio. Beviamo acqua alla fontanella di lato al lago. Proprio lì davanti a noi c’è una pizzeria a taglio. Fantastico!!! Ordiniamo due pizze e due birre. Corroboriamo alla grande. Incredibilmente non riusciamo a finire le pizze, da quanto sono grosse. Ci facciamo incartare gli avanzi per la colazione della mattina seguente. Intanto sullo sfondo compaiono delle bruttissime nuvole nere. Temiamo l’arrivo di un temporale, ma consultando la App “MeteoRadar”, capiamo che la cosa passerà lì vicino, ma non sul nostro percorso. Ripartiamo, sazi e ben idratati. Camminiamo per alcuni chilometri su bitume, fino al Passo del Cerreto. Rientriamo su sentiero e dopo poco ricominciamo a salire. Un paio di chilometri e la situazione si complica. Troviamo un gregge di pecore poco sopra la nostra via. Mentre ci avviciniamo, uno dei cani pastore comincia ad abbaiare e si ferma subito sotto al sentiero. Il pastore, inteso come umano, è lontano e non ci considera. Dunque, poco umano. Il cane non gradisce la nostra presenza. C’è Pietro, e lo capisco. Intanto scende anche un altro suo collega. Pietro inizia a parlargli, ma i due non si capiscono molto. Saliamo qualche metro sopra al sentiero e passiamo oltre con passo felpato. Il peloso continua a seguirci abbaiando. Can che abbaia non morde, dice. Lo lascio dire a chi lo dice, io però un certo timore ce l’ho. Arriviamo dal pastore poco umano e salutiamo. Pietro chiede addirittura scusa per il disturbo. Comincio a dubitare di essere con il sosia buono.

Proseguiamo. Il peggio sembra passato, invece no…ancora più in alto, vicino al sentiero, c’è un altro pastore inteso come cane. Questo non abbaia, ringhia. Il pastore uomo non si vede. Ci stiamo cacando sotto, e qui anche lo spavaldo Piter da Pisa. Se dice il contrario, mente. Pronti a fare a manate con il peloso, andiamo oltre con passo leggero. Tutto va per il meglio. Raggiungiamo le Sorgenti del Secchia, e scopriamo un piccolo paradiso. E’ un enorme prato, ideale per fare campeggio libero. Talmente ideale che ci sono già almeno venti tende montate con altrettante grigliate in essere. L’odore è assai invitante. Ma c’è troppo caos, qualcuno ha pure la musica a tutto bordone. Violenza e sacrilegio della natura. Eeeeehhhh l’umano…

Proseguiamo ed affrontiamo un’altra ascesa impegnativa fino al Passo di Pietra Tagliata (1779 m). Siamo all’imbrunire. Tiriamo fuori le frontali e scendiamo. Ho l’impressione che stia iniziando a piovere. Vedo delle gocce sul fascio di luce della frontale…sono insetti attratti dalla luce. Ok, pensate pure quello che volete, non mi interessa. In fondo, avete ragione voi.

Iniziamo a valutare di accamparci per la notte. La luce ormai è pochissima. Troviamo un cartello che indica il Bivacco Ghiaccioni a 5 minuti. Andiamo, ovviamente si sale. Il Bivacco è spettacolare, organizzatissimo. Ci sono 4 posti letto, ma due sono già occupati da altrettanti ragazzi. Maschi. Pietro socializza, ovvio, io no. Mi affaccio nel bivacco ma dentro fa troppo caldo perché ci hanno cucinato la cena. Decidiamo di dormire fuori. Pietro monta l’amaca, io la tenda. Prima di addormentarmi, sento dei gemiti strani. Non voglio sapere nulla.

Grande giornata: oltre 53Km percorsi e quasi 2100 D+. Abbiamo cambiato le sorti del viaggio: oramai mancano meno di trenta chilometri a Filattiera. Puntiamo la sveglia alle 5:00 e ci abbandoniamo tra le braccia di Morfeo. 

Livello 3: Se sei arrivato a leggere fino a questo punto hai decisamente problemi nella socializzazione. Probabilmente, anzi sicuramente, vivi nel disagio cercando appoggio ed approvazione nei tuoi simili.

Domenica 15 luglio

Sveglia puntuale alle 5:00, smontiamo l’accampamento. Io finisco la mia pizza. Sono le 5:40 e ripartiamo. Siamo carichissimi, ormai vediamo l’arrivo lì a portata. Non sappiamo invece che questa sarà la giornata in assoluto più dura e difficile, e tutto esclusivamente per colpa nostra.

Si inizia alla grande, con il mio naso che dopo poco comincia a sgorgare sangue peggio di una sorgente. L’ironia della sorte in certi casi è quantomeno bizzarra.

Raggiungiamo rapidamente il vicino rifugio Sarzana. Dobbiamo fare acqua. Al rifugo troviamo un simpatico canino che ci fa da cicerone, ma non ci sono fonti. Ce n’è una nel bosco a 5 minuti di cammino. Io vado a fare il pieno, Pietro no. Il suo programma è di farla più avanti in zona Lago Paduli. Arriviamo al Lago con annessa diga. Bel colpo d’occhio, ma a parte l’acqua dell’invaso, non ci sono fonti, risorgive o torrenti di sorta. Proseguiamo fino al Lago Squincio dove facciamo una sosta. Finiamo la pizza di Pietro e le ultime due lattine di Energy Drink. Fine del bonus. Altro errore, a posteriori. E siamo a due. Ma ancora non sapevamo. Ripartiamo. Arriviamo al bivio dell’errore n°3, forze il più importante. Scelta: Girare a sinistra sullo 00 per fare tutto sentiero di cresta, con la certezza di non trovare acqua oppure scendere a Prato Spilla (1350 m), fare acqua e risalire al Passo del Giovarello (1752 m). Pietro mi chiede se posso dargli mezzo litro della mia acqua. Io ho ancora poco meno di tre litri. Valutiamo che i chilometri da fare in cresta non sono poi tantissimi. Accetto. Imbocchiamo lo 00.

Saliamo a Cima Canuti (1773 m). E’ caldo, abbestia. Tira vento. Cominciamo a capire che sarà dura. Molto dura. Consumiamo molta acqua. Troviamo una struttura fatta di pietre che regala qualche metro di ombra. Ci riposiamo e raffreddiamo qualche minuto. Cerchiamo di interpretare le vette davanti a noi. Abbiamo ancora tre cime sopra i 1800m da conquistare: Bragalata (1856 m), Sillara (1859 m), Matto (1837 m). Però sulla carta, intesa come mappa cartacea, sembrano vicine. Davanti a noi ci sono proprio tre cime ravvicinate. Ci illudiamo che siano le nostre tre, in filotto. Mentiamo sapendo di mentire: tra la prima e la seconda infatti c’è una differenza in altitudine decisamente superiore rispetto a quei 3 m di cui parlano le mappe. Non è produttivo mentire a se stessi. Comunque la terza di quelle cime è il Monte Bragalata, ovvero la prima delle nostre tre.

Riprendiamo il cammino. Entriamo nella zona del Parco dei Cento Laghi: paesaggisticamente la zona più bella di questo viaggio. Dopo alcuni minuti, scorgiamo un laghetto poco sotto di noi, il Lago Martini (1700 m). Lasciamo gli zaini sullo 00 e scendiamo sperando di trovare una risorgiva. Niente. Ovvio. Ci rinfreschiamo la faccia e torniamo in quota dai nostri zaini. Speriamo che qualche anima pia ce li abbia rubati, ma quando servono non ci sono mai. Il morale cala ulteriormente. Cominciamo a razionalizzare l’acqua. Sappiamo che più avanti ci sono dei rifugi dove potremmo trovarla, ma dobbiamo scendere e quindi risalire, molto. Non è facile scegliere.

Conquistiamo il Bragalata, su cui troviamo una signora con cagnolina al seguito. Vorrei chiederle un pò di acqua, ma mi scoccia e non trovo il coraggio per farlo. Oggi è domenica e c’è molta gente in giro…se proprio si mette male, chiederò acqua a qualcuno. Mi dico. Ma non lo farò.

Arriviamo in cima al Monte Sillara. Incontriamo e conosciamo un ragazzo in assetto da trail. Assai loquace e simpatico, decide di fare un pezzo insieme a noi. In fin dei conti deve fare il nostro stesso sentiero. Parla con Pietro (borda!) o sosia buono che sia. Dobbiamo conquistare ancora l’ultima vetta, il Monte Matto (…mai nome fu più azzeccato). Ce lo indica… è piuttosto lontano, ma oramai penso solo a camminare. Lamentarsi e preoccuparsi non solo non serve a niente, ma può diventare anche pericoloso. Io vado del mio passo, per ottimizzare il consumo di acqua e mi stacco leggermente. Rimango indietro, intendo…

Conquistiamo il Monte Matto. In vetta ci sono molte persone. Io ho poco più di mezza borraccia di acqua. Trovo il sosia di Pietro a chiacchiera con un ragazzo cartinato (che possiede una cartina del luogo). Il sosia sta chiedendo notizie circa punti acqua in zona. Li sotto, dice, c’è la Fonte del Vescovo. Poco più avanti troveremo un sentiero sulla destra, che scende…parecchio…ed in fondo c’è la fonte. Impennata di morale, ma con riserva. Quanto c’è da scendere? Ecco appunto. Arriviamo al bivio, e la fonte è laggiù…piuttosto giù, parecchio giù, dimorto giù. Tra scendere e risalire ci vorrà circa un’ora. Tutto sotto il sole. Stimiamo essere più o meno il solito tempo che ci manca per arrivare al Passo dell’Aquila dove inizierà la discesa verso Filattiera. Pietro non vuole scendere. Ooohhh è tornato l’originale! Io mi offro di scendere senza zaino, se lui rimane al passo a guardare gli zaini. Rifiuta la mia allettante proposta e decide di proseguire lentamente. Ha ancora due sorsi di acqua che reputa sufficienti. Sìììììììì, è lui! Mi mancava… A questo punto devo fare io la mia scelta. Scendo a fare acqua e lo raggiungo dopo o proseguo anche io? Faccio le mie valutazioni con incredibile lucidità. Ritengo di riuscire a fare ancora un’ora e mezzo con l’acqua che mi è rimasta. Proseguo. Ci manca un’ultima salita, il Monte Aquila (1780 m). Quest’ultimo tratto sarà uno dei più prolifici per le mie riflessioni. La disidratazione spinta a livelli piuttosto avanzati ti obbliga ad isolarti dall’esterno e ti impone di guardarti dentro. Iniziano quei famosi pensieri di cui parlavo sopra. Imparare a domarli può essere di vitale importanza. Appena arrivato a casa ho cercato di riscrivere quanto più ricordavo delle riflessioni fatte, dei pensieri e delle immagini che sono transitati nella mia mente in quei momenti. Alcuni li condivido così come sono usciti:

Ho sete, potrei morire disidratato. Vedo alla mia destra un altro crinale distante 4-500m in linea d'aria, su cui scorrono dei torrenti. Vedo tantissime farfalle intorno a me e penso a come sarebbe bello potermi trasformare in una di loro e poter volare sull'altro crinale per dissetarmi. Sarebbe così facile.
Alla mia sinistra una vallata ed in fondo un paese. Lì c'è pieno di acqua da bere. Sembra tutto così crudele. Basterebbe essere qualche centinaio di metri più a destra o a sinistra e sarei salvo. Eppure sono lì, con le labbra secche, le gambe tremanti ed il passo incerto. La cresta per un momento diventa quella linea sottile che separa la vita dalla morte. Anni errati di programmazione hanno reso il mio inconscio un tribunale inquisitorio. Infierisce drammaticamente con progressivi sensi di colpa che se non vengono arginati con la frazione conscia, degenereranno rapidamente in panico. Ma il conscio è stanco, ha la nausea, non ha più voglia di parlare. Ormai il mio cervello è focalizzato soltanto sulla sopravvivenza. Il suo focus più importante. E quindi cosa fa? Quello che gli è stato insegnato sin da bambino: chiedere aiuto alla mamma. Ma qui non c'è proprio nessuno che possa aiutarmi. Ci sono soltanto io. Se sono finito in questa situazione è soltanto il risultato delle mie azioni. Ed è proprio in questo momento che può scattare il click. Che tutto inizia ad apparire per quello che è.

 

La montagna non ti uccide, siamo noi a morire se commettiamo un errore. Quella linea sottile che separa la vita dalla morte si percepisce molto più nitidamente lassù. Eppure la vita è la stessa. Ma cambia il modo di pensare. Lassù quel guscio di onnipotenza che ci crea la vita in città, si frantuma. Hai un problema? Te lo devi risolvere. Anzi, ancora meglio se impari a prevenire. La natura non è né buona né cattiva: semplicemente è. La natura non ti commisera e non ti compiace. La natura risponde a ciò che le dai. Il bene ed il male, il buono ed il cattivo, il paradiso e l'inferno sono speculazioni della mente umana, personali interpretazioni di ciò che accade. Nella quiete delle montagne così come nel silenzio delle profondità del mare, lontani dal caos antropico e dal bombardamento di informazioni che ci stordisce ed allontana dalla realtà, tutto appare più semplice, limpido. Così com'è. Fa paura iniziare a scoprire se stessi. Ci sentiamo ospiti in casa nostra. Stranieri. Già, non ci siamo proprio abituati a dover essere noi per forza. Lassù come laggiù, nessuno ha compassione, nessuno ti giudica, nessuno ti vuole bene o male. Se commetti un errore, non puoi dire...ma io non volevo, lo giuro! Ero in buona fede. Se commetti un errore lo paghi. Non ci sono differenze di sesso, razza o casta. Non puoi pagare per rimediare. Se farai tutto bene, nessuno ti  applaudirà. Però crescerà la tua autostima. Lassù e laggiù scopri questa apparente fragilità. Scopri il piacere di vivere ed agire per te stesso e non per compiacere gli altri. Perché fuori da noi avvengono dei fatti. Questi sono la normale e naturale risposta a degli atteggiamenti o eventi. Ma sono dei dati. Dei bit per dirla in linguaggio informatico. È il nostro cervello che poi li elabora e li interpreta dandoci come risposta finale delle emozioni. Lassù e laggiù dove il caos svanisce, tutto questo diventa più chiaro, più nitido. Ma non per questo più facile da vivere.

Eccoci al Passo dell’Aquila. Pietro mi informa che Alvaro ci sta aspettando poco più sotto. Inizia la discesa. Sentiero 124. Dall’alto vediamo il Rifugio Baita Porcili. Il cartello dice 45 minuti. Ho ancora tre sorsi di acqua. Riaffiora un “cauto ottimismo” come direbbero i membri dello zatterone. Ma il sentiero non è affatto agevole. Una pietraia continua. Il passo è traballante. Non c’è ventilazione, ed il caldo è veramente fastidioso. Scendendo iniziamo a trovare piante di mirtilli con quelle bellissime bacche già mature. Ne raccolgo un bel po’ e li mangio con gusto. Sali minerali, acidità che stimola la salivazione ed un minimo di idratazione. Il Top. Mi fermo altre due volte a fare il pieno di bacche. Penso a Nello. Chi è Nello? O meglio, cos’è Nello? Presto saprete…

Finalmente arrivo alla Baita, stremato. Ho ancora un sorso di acqua nella borraccia. Sono fiero di me. La struttura è veramente bella. Però è chiusa. Comincio a guardarmi attorno, ma non vedo né fonti né Pietro né il suo sosia. Dovrei sudare freddo, ma non ho più liquidi da sudare. Rimango calmo e mi dico che sicuramente la soluzione c’è. Infatti voltandomi vedo un cartello con una freccia ed una scritta: Fonte. Ho l’impulso di piangere, ma anche le lacrime sono fatte di acqua, quindi, niente.

Dieci metri più avanti c’è Pietro, seduto. Non dice niente, mi tira la sua bottiglia da 1,5 litri piena di acqua. Non è Pietro, è il sosia. In due sorsi bevo oltre un litro di acqua. La fonte butta poco, ma butta…quello è l’importante. Riempio le borracce. La Camel no. Ripartiamo in direzione Alvaro.

Abbiamo ancora mezz’ora di cammino in discesa su sentiero ciottoloso. I piedi non ringraziano. Appena scendiamo sotto i 1100m di altitudine entriamo in una cappa di caldo umido da paura. Ma oramai abbiamo l’acqua con noi, è solo questione di tempo. Un passo avanti all’altro.

Mancano poche centinaia di metri al punto di incontro. Pietro fischia forte per avvertire Alvaro del nostro arrivo. Ma non riceviamo risposta. Temiamo il peggio. Pochi passi ancora, ed eccolo lì, bello come il sole. Ci saluta e ci scorta alla fonte dell’acqua con abbeveratoio annesso. Guardiamo dentro e ci sono ben 6 Menabrea da 66cl conservate al fresco. Questa è arte signori! Sono tutte per noi. E’ un’emozione fortissima. Un gesto semplice ma con un significato enorme. Ci sdraiamo a terra esausti. Ci porta la torta salata della nonna di Pietro (o mamma di Alvaro che dir si voglia). La cosa migliore che ci potesse esser offerta. Semplicemente fantastica. Raccontano che fosse tanta. L’abbiamo spolverata in due minuti. Alvaro tira fuori un’altra chicca: medaglia commemorativa per il viaggio di Pietro…240 Km e 13000 D+. Sciapò. Gliene metto al collo.

La quarta e ultima tappa si chiude con 26 Km e 2300 D+  portando il totale della Pracchia-Pontremoli a 145 Km ed oltre 8000 D+.

Al paese vero e proprio mancano ancora 7-8 Km di bitume, rigorosamente tutti sotto il sole. Non prendiamo minimamente in considerazione l’ipotesi di farceli a piedi. Il nostro viaggio si conclude qui.

Alvaruccio ci porta a fare una doccia ed un saluto alla mitica nonna di Pietro. Quindi un saluto a Pietro Pagani, con birra, ed in men che non si dica siamo sul treno Filattiera – Pisa.

Sono finite le emozioni? Giammai.

Arriviamo in stazione centrale a Pisa e proprio mentre scendiamo dal treno io inizio a sentirmi male. La sensazione è quella di una congestione…mi gira tutto, mi viene da vomitare ed inizio a sudare in maniera pazzesca. Per fortuna trovo subito una panchina. Mi siedo, respiro lentamente. Il sosia di Pietro si mette accanto a me. E’ un pò preoccupato. Dieci minuti di relax e mi riprendo.

Andiamo a piedi verso casa mia. Accompagno Pietro a recuperare la sua bicicletta. Arriviamo alla rastrelliera all’inizio di via Sant Antonio. Noi siamo lì, la rastrelliera pure. La bici no. L’hanno rubata! Vedi? Troppo comodo così…la bici in centro città sì, ma gli zaini a 1900 m no! Delinguenti, quanto servite non ci siete mai!

Carico Pietro in macchina e lo accompagno a casa. Adesso è finita sul serio. Anzi no, ancora il tempo di fare il peso lordo (io più vestiti, più zaino, più marsupio) e la tara (io gnudo) …differenza venti chili circa. Roba da gatti fradici.

Un altro bellissimo viaggio completato, altri meravigliosi ricordi creati.

Conclusioni

Non ci sono

Ringraziamenti

Una nuova occasione per ringraziare Pietro (e il Sosia), per la sua Amicizia, per la compagnia, per le cose che ogni volta mi insegna, per la pazienza che ci mette nel sopportarmi, ma soprattutto per dare a me la possibilità di sopportarlo.

Un grazie di cuore va, alla Recupero Deficienti S.r.l. ed in modo particolare al suo Presidente Alvaro, ed alla mitica nonna di Pietro (…è nonna anche del Sosia?).

Next Time.

Livello 4:Se sei arrivato a leggere fino a questo punto beh, sei Pietro Leoncini (e non il suo Sosia). Come? Dici di non esserlo? Ahahahahah…lo sei, lo sei anche tu. Ma la cosa grave è che non lo sai!

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da Sasso Marconi (BO) a Filattiera (MS) di Pietro Leoncini

Difficile descrivere un viaggio di 7 giorni, descriverne i sentieri percorsi, i paesaggi, i profumi, le mille emozioni provare durante tutto lungo il cammino che mi ha portato da Sasso Marconi a Filattiera 240 km e 13.000 metri D+.

 

Giorno 1

Parto da Pisa alle ore 6 con un passaggio trovato su BlaBlaCar con 10 euro. Mi faccio lasciare a Sasso Marconi appena fuori dalla autostrada e mi incammino sulla Via degli Dei. L'idea è quella di pernottare presso il B&B Romani, gestito da Elisa, che conosco già per la sua ospitalità.

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Arrivo alla fine della prima tappa a Madonna dei Fornelli nel primo pomeriggio.

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Giorno 2

Parto sul presto, dopo un ottima colazione. Fermarsi da Elisa non ti sbagli mai. Cena, pernotto e colazione, 35 euro. Sempre percorrendo la Via degli Dei, cammino sopra la vecchia Flaminia Militare della Roma Antica, arrivo al Passo della Futa dove incrocio la GEA (Grande Escursione Appenninica).

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I sentieri diventano meno frequentati e per questo un po' più chiusi, con rovi e ortiche a impedire un passaggio facile. Arrivo a Montepiano e mi concedo un panino e una birretta.

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L'idea sarebbe di fermarmi in un agriturismo qui vicino, ma mentre mi avvicino sento un gran baccano. Il posto è bellissimo ma per me c'è troppa gente e confusione, e decido di proseguire. 

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A metà pomeriggio mi ritrovo in mezzo al bosco con la GEA che mi porta decisamente verso SUD. Mi sto addentrando in un zona selvaggia fatta di sentieri rocciosi in cresta che si alternano a sottobosco. Incrocio spesso il cartelli dell'Ecomarcia “da Piazza a Piazza”.

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La stanchezza si fa sentire e cado rompendo uno dei due bastoncini. Dopo pochi metri ricado. Il morale accusa le due cadute e ho voglia di fermami. Studio la mappa e mi trovo troppo distante da qualsiasi struttura di accoglienza. Mi viene in mente di contattare Gabriele, gli mando la mia posizione GPS. Mi viene in soccorso dicendomi che davanti a me a pochi km di distanza c'è il rifugio Pacini con sorgente di acqua e bivacco disponibile per la notte. Mi consiglia di stare tranquillo e di proseguire con calma.

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Arrivo provato al rifugio. Ceno con quello che ho, mi lavo alla meglio e mi addormento di botto all'interno del bivacco.

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Giorno 3

Dopo la tirata di ieri, oggi ho molti km in meno da fare. Mi sveglio con calma, faccio colazione con due biscotti. Lascio 5 euro di offerta nella cassetta del rifugio, per una tavola di legno senza materasso credo siano più che sufficienti. Sono solo da ieri mattina e non parlo con nessuno da quando ho lasciato Madonna dei Fornelli. La sensazione di solitudine mi appaga. Il rumore di sottofondo che io miei piedi creano calpestando i sentieri mi fa compagnia fino a un ristorante immerso nel bosco appena prima di Passo della Collina. Mi faccio fare un panino e mi scolo una birretta. 

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Sono sul sentiero GEA, e anche su tratto che percorre il famoso Trail del Malandrino.

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Arrivo a Pracchia a metà del pomeriggio e decido di trattarmi bene. Mi prendo una camera all'albergo ristorante Melini. Salgo in camera e dopo la doccia mi accordo di avere 6 piccole zecche dietro le ginocchia. Usando del disinfettante e tanta delicatezza riesco ad asportare le piccole bastarde. E' ancora presto per la cena, allora esco e vado a fare aperitivo al locale bar proloco. Schiacciata e birretta.

A cena mi preparano un piatto di spaghetti aglio olio e peperoncino buonissimo, un secondo di verdura e formaggi grigliati, mezzo litro di vino della casa (pagato 5 euro, cazzo), un litro di acqua gassata e cantiuccini con vin santo. Totale spesa 45 per la notte più colazione, 15 la cena e 11 euro gli extra. Totale 71. Un po' deluso dalla colazione ma va bene così, in zona non c'è alternative.

Vado a nanna. Domani mi raggiungerà Gabriele e proseguiremo il viaggio in coppia.

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Giorno 4

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Prima di lasciare l'albergo faccio un'abbondante colazione, dopodiché mi reco alla stazione ad aspettare Gabriele. Alle 9:15 siamo in cammino e attacchiamo la lunga salita che ci porterà sul crinale degli appennini per poi percorrere l'intero 0-0 fino a Filattiera. Dopo tre giorni di camminate in solitudine ora ho compagnia e per un ora chiacchiero a raffica, Gabriele se la ride e si accorge della mia insolita loquacità. Arriviamo al Lago Scafaiolo nel primo pomeriggio. Al locale Rifugio ci prendiamo una polenta con formaggio e una birretta.

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Riprendiamo il cammino in mezzo alle nuvole toccando Croce Arcana, Cima Tauffi, Monte Lancino, Monte Lancio e Libro Aperto.

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Qui decidiamo di deviare dallo 0-0, che porterebbe all'Abetone, per prendere l'Alta Via dei Parchi e scendere al Boscolungo. Telefoniamo all'ostello ma è pieno e ci dirottano all'Hotel Primula che con 90 euro ci fornisce cena, pernotto e colazione in due. Direi ottimo rapporto qualità prezzo. Alle 22 siamo già a ronfare con la pancia piena.

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Giorno 5

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Alle 7:30 riprendiamo il viaggio. Saliamo lungo un sentiero che ci porta, attraverso un bellissimo bosco, prima al lago Nero e poi di nuovo in quota sulla GEA.

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Saliamo sul monte Alpe Tre Potenze a 1940 metri slm e lungo la cresta e lo 0-0 raggiungiamo il monte Giovo a 1991 metri slm, Qui ci fermiamo a fare pranzo con in viveri che abbiamo.

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Lo zaino da 10 kg e i sentieri esposti e ripidi non ci permettono un andatura spedita, ma i paesaggi e gli scorci su entrambi i lati dell'appennino ci riempiono gli occhi e lo spirito.

Alterniamo Grande Escursione Appenninica ad Alta Via dei Parchi a 0-0. E proprio in una di queste alternanze sulla Cima dell'Omo avviene una cosa incredibile, trovo Gianvincenzo, collega di lavoro appena trasferito dalla Prefettura di Pisa a quella di Livorno. Devo ammettere che questo inaspettato, quanto piacevole incontro, mi ha emozionato tantissimo.

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Decidiamo di terminare la giornata alle 18 al passo delle Radici. La prima cosa che facciamo è merenda con un panino e una birretta. Poi prenotiamo pernotto cena e colazione al Rifugio Lunardi. Il tutto a 138 euro per due persone. Un prezzo un po' diverso da l'Albergo Primula, ma così è.

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Giorno 6

Con molta calma alle 9:15 siamo in cammino. Sempre sullo 0-0 e sempre cercando di rimanere in quota il più possibile tocchiamo varie cime la più alta è il Monte Prado 2054 metri slm.

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Qui facciamo una lunga pausa. Il sole picchia forte e accusiamo i primi problemi di idratazione e scottature.

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Dal Monte Prado al Passo Pradarena il sentiero spiana un po' e il passo aumenta.

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Dopo Passo Pradarena, decidiamo di andare a cena al Cerreto Laghi, e cosi deviamo sul sentiero 649 c.

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Al lago ci prendiamo una bella pizza e una birretta.

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Se vogliamo terminare il viaggio dobbiamo sforzarci di fare altri chilometri e cosi facciamo fino a notte fonda dove di fermiamo a dormire vicino al bivacco Ghaccioni, io in amaca e Gabry in tenda.

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Giorno 7

Questa è stata la tappa più bella ma anche la più sottovalutata, almeno da me.

Ci svegliamo alle 5, smontiamo il campo e alle 5:45 siamo operativi.

Saliamo prima al lago di Monte Acuto dove al rifugio Sarzana Gabriele fa il pieno di acqua e io no, sperando di trovarne alla diga di Lagastrello, ma così non sarà. Questo errore lo pagheremo molto caro entrambi.

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Al bivio sul sentiero a Passo Sasseda, dobbiamo decidere se scendere lungo l'Alta Via dei Parchi, passando da lago scuro e alcuni rifugi oppure rimanere sulla GEA, dove non incontreremo alcun punto acqua. Purtroppo scegliamo la seconda.

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Saliamo e scendiamo in continuazione. Il passo è rallentato dal peso dello zaino, ma anche dai sentieri molto difficili. Ma la cosa che ci rallenta di più è la paura di rimanere senza acqua. Il sole picchia sempre più forte e la disidratazione è un pericolo molto reale.

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Ci sarebbero delle deviazioni da fare per scendere di quota e trovare delle sorgenti, ma lasciare lo 0-0 e quindi la cresta mi sa di sconfitta. Molto lentamente ci facciamo tutto lo 0-0 e tutte le cime che troviamo. M. Bragalata 1856 mslm, M.Sillara 1859 mlsm, M.Matto 1837 mslm, e finalmente il Monte Aquila, appena dopo troviamo il passo dell'Aquila, da qui prendiamo il sentiero 124 che ci porta alla Baita Porcili.

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Vicino alla baita sgorga una sorgente, ci dissetiamo a dovere. Poco dopo al Passo della Colletta troviamo Alvaro(mio babbo), preventivamente avvisato, che ci sfama con una buonissima torta salata fatta in casa e una birretta. A me regala anche un medaglia commemorativa di questo viaggio molto carina.

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Per arrivare veramente a Filattiera mancherebbero ancora 8/10 km di asfalto. Io e Gabriele siamo soddisfatti di quello che abbiamo fatto e accettiamo il passaggio in macchina offerto da “Santo” Alvaro

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A casa di mia nonna ci facciamo una doccia veloce. Salutiamo tutti e prendiamo il treno delle 18:30 per Pisa. 

Alla stazione scopro che mi hanno rubato la bicicletta, e Gabriele, anche se stremato, si offre di portarmi a casa in macchina.

L'avventura finisce qui. Due amici che si salutano con semplice e profondo “Ciao alla Prossima.....”

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Prove di Petalo n.4 di Gabriele Ianett

Potrei star qui a raccontare che stamattina volevamo provare il Petalo n.4 della QTMP, tanti progetti e belle idee. Fiumi di bla bla bla. Mentirei. Stamattina dovevamo giustificare la colazione alla pasticceria di Calci. Ecco. Belli rilassati, facciamo pendant con i pensionati indigeni. Cornetto, sfoglia e caffè per me. Cornetto, sfoglia e cappuccino per lui. Bene, adesso però dobbiamo bruciare almeno queste calorie: è qui che entra in scena il Petalo n.4.

Non partiamo dal vero inizio del petalo, perché arrivare fino a Campo di Croce è fati’a. Quindi decidiamo di salire, IN MACCHINA, fino al Conventino. Mentre saliamo, mi viene la malsana idea di andare a fare una ricognizione della strada che dovevamo fare, una volta scesi dal 129. Più o meno è come ritrovarsi in un cartone animato/Horror. La strada inizia a stringere sempre di più. Devo fare una curva a novanta gradi per immettermi su un ponticello strettissimo. Ci passo per meno di un pelo…ah già, dimenticavo: siamo con la Station Wagon. Finisce il bitume e inizia un sentiero. Ormai non si torna più in dietro. Pietro ride, io guido. Vorrebbe guidare lui. Mavvedrai…arriviamo ad un antichissimo tratto di strada mulattiera. Wowww. Sale e termina nell’aia di una casa, lì arroccata. La strada/sentiero fa un angolo a 180° e prosegue in salita. Ovviamente. Me la cavo con tre manovre nell’aia. Sto sperando che esca qualcuno dalla casa per offrirci colazione, ma ho paura che aprendo la porta di casa, possa sbattere sulla macchina. Proseguiamo. Sentiero. Ad un certo punto, su una curva stretta troviamo anche un simpatico paletto rosso messo lì per dispetto, perché non vi è altra spiegazione, oltre al dispetto. Pietro prova a toglierlo. Nulla da fare. Lo spazio tra il muretto e il palo è poco, ci passerò? L’alternativa è rifare gran parte della strada a marcia indietro.  Ma come succede in questi casi, solo a me e Pietro, appare un angelo. E’ una signora Ucraina, più o meno. Non quella che pensate voi, e soprattutto quella che speravamo noi. Peccato. Ella però ha un impatto notevole sul proseguo della nostra giornata. Ci chiede se è tutto ok. Noi le facciamo notare che con quel simpatico paletto non ci passiamo. Lei con garbo ci dice che passiamo…”il proprietario della casa poco più avanti ci passa con un’astronave”. Deh, allora sarà un UFO, penso. Mi punge sull’orgoglio. Non è tanto una questione di fiducia, quanto del dopo…ve lo immaginate il Piter? Sicché rimonto in macchina e con qualche indicazione dex/sin del Piter e sotto lo sguardo vigile dell’ucraina, riesco a passare lasciando la fiancata indenne. Ringraziamenti di rito. Proseguiamo su strada a questo punto direi banale, fino al Conventino, quello che talvolta viene erroneamente considerato l’inizio del 135. Un po' come la storia dello Sperone di Santallago. Insomma, noi si parcheggia lì e si parte da lì. E si ritornerà lì.

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Iniziamo l’erta ascesa, quando scorgo sulla sinistra una zona di vegetazione in sofferenza. Da buon Agronomo faccio una rapida ispezione e trovo la causa in una scarsa concimazione del suolo. Provvedo immediatamente a fare un rapido ed adeguato intervento di concimazione. Le colonie di zanzare indigene ringraziano calorosamente. A modo loro.

Riprendiamo a salire. A modo nostro. Siamo ghiacci, si chiacchiera, la colazione si vaporizza. C’è un po' di K. A mano a mano che saliamo però ci sciogliamo ed iniziamo ad aumentare il passo. Di poco però. Pietro prende confidenza e ci prova. Ho mal di testa.

Fatto così, di primo acchito e con passo leggiadro, il 135 scivola via che è una meraviglia. Arriviamo in cima, scrutiamo Pisa dal punto panoramico. Proseguiamo. Ci tocca la forestale che ci riporterà a Campo di Croce. E’ una bella forestale. Attraversa un bosco di castagni, il paesaggio è proprio bello. L’aria è fresca. Il mal di testa mi impedisce di fare sesso con Pietro. Peccato. Per lui. Arriviamo ad una curva a gomito. Più o meno nella zona dell’Olecrano del gomito (e ora voglio vedere quanti sanno cos’è…prima di andare a controllare su internet), scorgiamo una traccia che va verso delle rocce in belvedere. Stoppo il GPS. Seguiamo la traccia, al di fuori della nostra traccia. Dopo poche decine di metri, sulla sinistra scorgiamo un elegante capanno di dispensatori di bossoli. Come li chiamano? Ah, sì…cacciatori. Praticamente siamo nel paradiso del cacciatore. Prima ci godiamo il paesaggio, dopo ci immaginiamo la nostra giornata ideale di caccia in quel luogo. Torniamo sulla nostra traccia. Riaccendo il GPS. I pensieri erotici ringalluzziscono il Pietro, che parte a tutto fòò. Lo lascio andare…un pochino, ma non troppo. Ci ricongiungiamo a Campo di Croce sorseggiando acqua e fotografando bossoli sparsi in terra.

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Lì, proprio lì, ma solo lì, il Piter si rende utile. Suggerisce una validissima variazione alla traccia originale. La applichiamo. Il giro ringrazia. Arriviamo all’inizio del 129. Lui non lo aveva mai fatto integralmente io sì, qualche settimana fa. Per caso. Mi era piaciuto assai. Darà la stessa sensazione anche a lui. Scendiamo nel bosco boscoso di castagni. Aria fresca, profumi di natura selvaggia. Incrociamo una forestale. Ne percorriamo un piccolo tratto fino a Campo a Noce. Pietro rimpingua la sua borraccia dalla fonte. Io faccio qualche foto. E’ un posto da famiglie, ottimo per picnic. Ma noi dobbiamo ripartire.

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Il sentiero, segnato da apposito cartello, scende nuovamente nel bosco. In 100 metri lineari, forse meno, passiamo da un bosco di castagni, anche detto castagneto ad uno di pini anche detto pineta. E’ tutto in single track. Ganzo, deh!

Incrociamo una strada in cemento. Siamo costretti a scenderne un tratto di 200 metri, prima di rientrare in uno stretto single track che costeggia un torrente. Ancora qualche centinaio di metri in discesa e troviamo l’asfalto di Castelmaggiore. Giriamo a sinistra, ormai perfettamente eruditi dalla ricognizione autogestita (nel senso che è stata fatta con l’auto) di due ore prima. Arriviamo al bellissimo tratto di antichissima strada mulattiera. Foto. Pietro si mette a carponi, si immedesima in un antico cavallo e la ripercorre in spirito storico. Io ne approfitto, e lo cavalco. Non è vero.

Arriviamo ad un torrentello abbellito da una graziosa cascatella più su a monte. Pietro abbandona la nostra traccia e comincia a risalire il torrentello verso la cascata. Non aspettavo altro. Spengo il GPS e lo seguo. Più saliamo e più il posto ci piace. Facciamo foto.

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Dispiace, al solito, che dalle pietre di antiche strutture ormai abbandonate ed in parte franate, si possa e si debba immaginare la bellezza di questo posso se fosse stato mantenuto pulito e decorosamente in essere. Ma si ritorna ai discorsi dell’acquedotto pisano. Tutti guerrieri i pisani, finché si tratta di andare allo stadio. Per il resto, un ammasso di menefreghisti. Mi fa sorridere vedere tutte queste persone che urlano “Pisa nel cuore”…lo vedo infatti. Forse però, prendendo per buone le parole del buon De André, a Pisa ci sono troppi nani.

Torniamo verso la nostra traccia. Io mi percorro un buon tratto di torrente con i piedi nell’acqua. E penso al buon Riccardo. Riaccendo il GPS. Comincia a fare caldo. La strada bitumosa sale. In un tratto assai irto, trovo dei ciclisti in crisi. Li saluto e li svernicio. Sai com’è…

Arriviamo nuovamente al Conventino. Il giro è finito. Semplice, breve, bello e divertente. Poco meno di 10Km e 550D+. Per oggi siamo contenti così. Ci reidratiamo con calma e con altrettanto sentimento torniamo verso casa.

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Trail del Trapianto...dei Castagni di Gabriele Ianett

Allora, dunque, facciamo un pò d'ordine perché oggi c'era parecchia carne al fuoco, ma soprattutto tanta Birra e la nuova Super Bevanda del Futuro. Eravamo ben 9 TrailRunner EcoSessoSostenibili equamente suddivisi per razza in 3 gruppi da 3: Gruppo Juri (al graditissimo rientro), Gruppo Indigeni (Io, Pietro e Chiara) e Gruppo Livornesi (Riccardo, Paolo e Salvatore (livonese d'adozione...cioè un autogoal clamoroso...se ci nasci, ci nasci, ma andassele pure a cercare...deh!)). Siamo sui monti pisani, tanto per capissi. Il programma è quello di ripetere il percorso di un paio di mesi al fine di portare Riccardo e Chiara allo spuntone vero che, nella precedente occasione, a causa di una improvvisa invasione aliena avevano saltato. Il Trail è dedicato ai trapianti...sì, sì è facile l'ilarità...ma vi va male bimbi. Non si parla di trapianto di capelli ma di Trapianto di Castagni. In autunno raccolsi diversi Kg di castagne in zona Faeta-Vorno. Quelle più bruttine erano finite nell'orto e loro per vendetta EcoSessoSostenibile hanno preso spunto dal brutto anatroccolo ed hanno prodotto una trentina di castagni. Mi sono commosso (in realtà la mi molllie li ha invasati e me li ha messi lì come cuccioli in un canile) e nel passare tutti i giorni davanti a questo castagnile, ho deciso di ripiantarli vicino ai loro genitori. Sicchedè, ho preso i primi 5 vasetti, una paletta e via...appena arrivato in zona "Conserva" ho eseguito il trapianto. Speriamo che diventino belli e forti come il padre adottivo 😍 . 

Ma facciamo un passo indietro...attenti a dove mettete i piedi perché nel frattempo avevo anche concimato. Partiamo da Via di Valle alle 8:00. Castagno, 00 (zero zero), Conserva. Io trapianto e concimo, loro vanno. 123. 117. Lavinia, li raggiungo. Faeta. Foto di rito, rifocillamenti vari e poi giù nel toboga verso Vorno. Ai livornesi piace tanto Vorno...Li a Vorno si sentono guasi a casa...Li si, La no. Ma prima di Vorno, più precisamente in località "Il Nonno", il gruppo Juri si stacca come da programma. A Vorno quindi arriviamo in 6: Gruppo Indigeni e Gruppo Livornesi. E qui sorgono le prime riflessioni ed ipotesi su una eventuale variazione del percorso. Check energetico ok. Check fisiologico ok. Proseguiamo sulla traccia originale. Spaccamacchia con graffi e pinzi fino ad arrivare in modo clandestino sul 128. Passiamo quasi dentro casa ad una anziana signora che sta facendo le faccende in una casa isolata sul monte in cerca di tranquillità. Dopo il passaggio della mandria voci di corridoio dicono che la casa sia stata messa in vendita. Però non c'ha nemmeno offerto colazione. Arriviamo alle fauci del monte Zano. Proseguiamo sulla VVF (Variante Via Francigena). Dopo qualche Km effettuiamo una modifica al percorso originale per accorciare di qualche km. Prato a Sigliori. Troviamo tre giovani Trekking Boy. Proseguiamo sulla via più corta per raggiungere Santallago. Ci arriviamo. Ci dividiamo. Siccome siamo in una situazione di delicato equilibrio, allora ci stacchiamo in coppia. Come i carabinieri. Io e Paolo saltiamo lo Sperone e andiamo verso Campo di Croce con la forestale. Gli altri quattro salgono allo sperone. Arrivati alla Scarpa di Orlando (è una località...), scendiamo per il vecchio acquedotto Mediceo. Siccome mi vergogno assai per il suo stato di abbandono, rintrono Paolo di chiacchiere e cerco di fargli vedere quella zona come potrebbe essere. Ma purtroppo è proprio così come si vede. Non potrò mai finire di dire Vergogna a tutti i responsabili di questa situazione. In lucchesia è un gioiellino. A livorno forse ancora meglio. A Pisa una vergogna. Troviamo una giovane Trakking Girl con canina che risale l'impervio acquedottodistrutto. Arriviamo ad Asciano e con due Km di bitume siamo nuovamente alla macchina. 28Km 1500 D+. Aspettiamo 5 minuti l'arrivo degli altri. Per prima transita Chiara come un fulmine. Saluto a 5 volante e via. Poi arrivano alla spicciolata gli altri. Ok, adesso inizia il Terzo Tempo😀. Per prima cosa li costringo ad assaggiare due campioni della nuova Super Bevanda. Partono ilari, ma finiscono contenti. Riccardo dice che è da phie. Pietro ne beve quasi 1 litro (comunque ha 6% di alcol). Quindi Pietro è una Phia. Va bene che siamo per il SessoEcosostenibile però c'è un limite. Deh. I Livornesi comunque ci spolverano in quanto organizzazione del Terzo Tempo. Pietro è contento come un lattante attaccato al seno della madre. Panini ripieni, rotelline di pasta sfoglia ripiene di wurstel. Oltre un litro di birra a testa. Stiamo circa un'ora sul bitume a fare della sottile filosophia. Abbiamo anche il pubblico locale su un terrazzo a pochi metri da noi. Ormai la frittata è fatta, quindi continuiamo. Pietro è briao. Tutti siamo briai. Pietro è contento. Tutti siamo contenti. Io devo guidare, Pietro no. Grazie a tutti per la splendida mattinata . Andrà a finire che vi vorrò bene. Però c'è tempo. Forse un giorno, Forse. 😘

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Magona, Bibbona, Birre e Schiacciatona di Riccardo Ageno

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Ad est di Bibbona, in provincia di Livorno, c'è una zona collinare chiamata Macchia della Magona.

C'ero già stato, due anni fa: i miei suoceri ogni anno vanno in campeggio a Marina di Bibbona ed io quell'anno, spinto dalle smanie di correre per i boschi, avevo deciso di fare un'uscita improvvisata nella suddetta Macchia. Studiai un percorso alla buona, preparai quel poco che avevo (mi sembra avessi solo una soft flask da 250ml, un pazzo a correre in pieno agosto con così poca acqua), misi le scarpe da strada perchè avevo portato solo quelle, una maglietta arancione fluo e andai alla scoperta. Dopo 4 km fui assalito da uno sciame cattivissimo di tafani, ed io mi giocai il giro scappando verso la macchina, percorrendo solo 8 km dei 15-20 che volevo fare.

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Però ricordo che rimasi impressionato dai boschi della Magona. Diversi dai nostri boschi livornesi, un po' meno fitti ma tenuti benissimo. Pieni di ruscelli da guadare, saliscendi divertenti, qualche salita impegnativa ma soprattutto tutti, dico tutti, segnati alla perfezione dal CAI di bibbona.

Dopo due anni, ormai non più scarpato ma sandalato, ho organizzato un giretto per questi boschi. E siccome ormai i Pisani son diventati di famiglia, mi sono fatto accompagnare da Pietro e Gabriele. La delegazione Survival Trail Runners di Livorno comprendeva l'ormai "atleta di punta" Carmine (nono ai monti pisani, va forte il bastardo) e il redivivo Luca, di ritorno al Trail dopo un lungo esilio autoinflitto nella ridente cittadina di Piombino.

Partiamo presto da Livorno, si arriva allo spiazzo della "Casetta Forestale" della Magona. Si parte in discesa. 
Ben presto inizia l'anteprima di ciò che ci aspetta: un single track pieno di saliscendi e guadi di fiumiciattoli vari dove gli amici scarpati hanno paura di bagnarsi i piedini, per arrivare alla prima salita che porta fino al monte Romboli.
Da qui iniziamo a correre sulla strada di crinale, una stradona bianca che taglia la Mac

chia da nord a sud e sulla quale ho tracciato il percorso in modo da uscirci e rientrarci passando dai single track laterali. Ciò che ci colpisce di più è l'estrema pulizia dei sentieri: non un bossolo, non una cartacci

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a, tutto estremamente pulito. L'unico sporco è il casino creato dai cinghiali in qualche sentiero, ma loro sono autorizzati.

Continuiamo. Si sale su Poggio al Pruno, il colle più alto della parte settentrionale 

della Magona (620m slm), dove un tizio con tanti soldi s'è costruito un bel villone. Ok, l'abbiamo visto. Si scende a tutto bordone dalla discesa del poggio e poi si ricomincia una lieve salitina in un single track che riporta sul sentiero di crinale. Si sale, si scende in altri single track, si risale e poi si torna alla macchina nell'ultima discesa carinissima, abbastanza pulita, sempre in un single track. Sul finale, nel fango, decido di terminare Barefoot, col 

Leoncini che mi sfotte dall'alto dei suo 3cm di Hoka.

Alla macchina ci aspetta come sempre la tanto agognata birra. Io, personalmente, sto morendo di fame. Ho preso pure la schiacciata, ed è ancora più buona quando la mangi dopo che ti sei fatto 23km con 1000 metri di dislivello coi tuoi amici. Ci siamo divertiti, ed ora ho in mente una cosa ganza ganza sulle colline Livornesi.

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L'esplorazione del Monte Pelato di Riccardo Ageno

Avevo promesso ai miei amici pisani che avrei incominciato a scrivere le mie storie di Trail, ed oggi che ho una mezz'oretta libera, vi parlo di una bella esperienza. 

Io sono convinto che il vero Trail non sia quello delle gare, dove si sta come le formiche in fila sulle salite dei single track, ma sia quello in cui un gruppo di amici si trova una mattina e va a correre per sentieri conosciuti o meno per godersi un giro in completa autonomia nella natura più selvaggia (se tale si può definire). 

Noi siamo una piccola associazione di Livorno che vorrebbe far sì che il Trail rimanesse tale, vorremmo far conoscere alle persone il vero spirito Trail, perchè non è giusto poter andare a correre in un bosco di qualcun altro dovendo pagare per farlo. La natura è di tutti. Quindi, nel nostro piccolo, esploriamo percorsi nuovi per far sì che un giorno i nostri amici corridori di Livorno (o di altri posti, siete tutti benvenuti) abbiano voglia di conoscere le nostre colline livornesi ed i loro sentieri spettacolari.

A sud di Livorno, nelle colline tra Castiglioncello e Nibbiaia, c'è una collina strana. Sembra quasi la montagna solitaria del film "Lo Hobbit". Sta lì, con la sua punta di quasi 400 metri d''altezza e con la sua forma simile ad una piramide, in mezzo ad una serie di altri poggetti tutti più bassi. E siccome in cima a questa collina piramidale non ci sono alberi, l'hanno chiamato Monte (anche se sarebbe più consono Poggio) Pelato. Noi di Livorno raramente andiamo a Sud a correre, perchè siamo sfaticati e ci fa fatica andare troppo lontani, ma l'esplorazione di quella parte di colline ce l'avevo in pancia da un po' troppo tempo. C'era un evento in programma, la gente non ha aderito, ed io ed altri due amici (Paolo e Salvatore) s'è detto: andiamo ed esploriamo!

poggio 2  La nostra "missione" parte presto, alle 8:30 siamo già all'uscita della superstrada di Castiglioncello. Non ho idea di quanto ci staremo, nè di che tipo di sentieri troveremo. La programmazione di View Ranger mi diceva 25km 1000d+, e non ci siamo andati tanto lontano.

Il sentiero parte subito con una leggera salita, è brullo e un po' scoperto, e subito di mattina il vento freddo di Burian, arrivato per l'occasione dalla Siberia, ci saluta prima di entrare in un single track più coperto, che però inizia a montare prepotentemente dal basso livello pochi metri sopra del mare fino ai 300 metri d'altezza, dove sbuchiamo sullo 00, il nostro sentierone di crinale. Qui non c'è vegetazione, ed inizia anche a nevischiare. Vento e neve, accoppiata perfetta, ma noi siamo caldi, siamo Survival e siamo dei pazzi minimalisti che corrono con le ciabattine (domenica no, solo il presidente s'è presentato in pantaloncini ma tutti avevano le scarpe - non ammortizzate ovviamente). Si devia per allungare il giro, sbagliamo un sentierino e si torna indietro, poco male, continuiamo di nuovo il giro e finalmente imbocchiamo il sentiero che sale sul monte Pelato. Lasciatemi descrivere ciò che si vede. Immaginatevi di essere dietro ad una punta di una piramide, stretta ed alta, rocciosa e senza alberi. Il vento vi taglia un po', ma voi siete ad est, state andando verso ovest, ed ad ovest c'è il mare. Ecco: da dove eravamo noi la vista era spettacolare, perchè la puntona del Pelato divideva la vista del mare in due: c'era mare a destra, mare a sinistra, ed in mezzo questa salita. Facile, per carità, magari forse anche corribile, ma noi dovevamo fare tanto e ce la siamo goduta.

Arriviamo in cima, la neve sembra placarsi, e allora continuiamo il nostro giro. Dal Pelato si scende con un downhill spettacolare, molto tecnico ma dove si può lasciare andare la gamba. Veniamo giù facendo 800 metri in 4 minuti (foto comprese) e si torna sullo 00. Strada carrabile, sterrata, che va verso nord-est. Direzione Nibbiaia, paese rinomato per le colossali sbronze ai circolini in età giovanile. 

Inizia a nevicare sul serio. Una sensazione bellissima.I fiocchi diventano sempre più grossi, e nell'atterrare sulla giacca da corsa si sente proprio il fiocco che pesante si abbatte sull'antivento. Pof! Pof! Pof! Ci godiamo il trail running, perchè ora il sentiero si apre in un enorme pratone da cui si vedono le case di Nibbiaia da lontano. Il cielo è grigio, cielo da neve, e il nostro presidente intona goliardicamente un "bianco natal" con sfondi sessuali, perchè noi siamo casti e puri. Corri, corri, si guada un ruscello, e si ricomincia a salire verso Nibbiaia, direzione Poggio Scandanibbio, una collina di 290 metri che sta proprio lì sopra, a vigilare sul paese. Zona di contadini, scappiamo da un pastore tedesco che ci sbarra la strada principale abbaiando costringendoci a tagliare per i campi, saliamo sotto la neve fino alla cima del Poggio, dove non si sa come mai c'è stata messa una panchina. Foto di rito stravaccati, ed inizia la prima discesona: passiamo per una lunga carrareccia che scorre di fianco alla strada asfaltata, immersa in un allevamento di cavalli. Vengono fuori, incuriositi dalla nostra presenza, belli e maestosi, ancora di più sotto ai fiocchi bianchi. E noi continuiamo a scendere.
Ben presto ritorniamo nel bosco fitto, ed inizia una nuova salita, leggera, che arriva ad un vecchio rudere in un luogo che sulla cartina si chiama San Quirico. Vicino c'è un agriturismo, noi ci immettiamo in un single track che durerà 6 km. Uno dei più lunghi che abbia mai percorso, sentiero fitto, guadi di ruscelli uno dietro l'altro. Bello, divertente, ci perdiamo un paio di volte, ma ben presto arriviamo alla macchina. E' il compleanno di Salvatore, tira fuori il prosecco e le schiacciatine e brindiamo in macchina.

Alla fine del giro il gps segna 26km (con tre errori di percorso) e 950m di dislivello positivo. Ci siamo divertiti, ci siamo stancati al punto giusto e la neve non ci ha mai lasciato.

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