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Ultra Trail del Lago d'Orta

UTLO

Domenica torno a gareggiare alla Ronda Ghibellina dopo più di 3 mesi che non indosso un pettorale, e la bellissima storia di Gabriele sulla sua corsa della Bora mi ha invogliato a scrivere qualcosina sulla mia ultima gara. 

Oh, io mica pretendo di fa 100 miglia come lo Iannett, però la mia ultima gara del 2018 è stata una gara bellissima, che vale la pena raccontare, perciò insomma ve la racconto. Non sono uno che si mette spesso il pettorale, quindi ho poco da raccontare, ma questa vale la pena.
La gara in questione è l'Ultra Trail del Lago d'Orta. Io non ho fatto nessuna delle varie gare Ultra, mi sono cimentato nella 34Km 2000D+ (che è una signora cazzutissima gara dove ti spari 2000d+ nei primi 16km). Avrei voluto cambiare iscrizione per tentare la 60 Km, sono stato tentato molto da questo cambio gara, ma i motivi che mi hanno spinto a rimanere iscritto alla 34 sono stati più d'uno: venivo da un'estate di allenamenti massacranti portati avanti come un soldatino puntuale che non sentiva discorsi, tutti con lo scopo di correre al meglio la mia prima Ultra ufficiale (il Golfo dei Poeti, ndr). Fare la 60km della UTLO avrebbe voluto dire non solo non riposarsi per nulla dopo i 44 Km devastanti e torridi del Golfo, ma anche aumentare di brutto il carico d'allenamento in un mese e mezzo dalla gara. Oltre tutto voleva dire anche mollare la mia compagna coi bimbi per 10 e rotte ore da sola ad Omegna, e mi dispiaceva far loro questo sgarbo. Glielo farò nel 2019, ho già deciso.

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Veniamo alla vacanza. Venerdì lavoro solo la mattina, e partiamo di rincorsa dopo aver preso Leonardo a scuola all'ora di pranzo.

4 Ore sparate sulla strada che da Livorno porta a Genova e da Genova porta fino sul lago d'Orta: un vero gioiello. Un lago di discrete dimensioni, a non pochi km dal bellissimo e enorme Lago Maggiore, situato in una conca di montagne: a Est il famigerato Mottarone, dove solo le bestie della 120 passeranno in notturna, a Ovest il complesso del Monte Croce, il punto più alto da cui passano tutte le gare.
La 34 è la mia gara, ma visto che ci sono quattro distanze (120, 82, 60, 34) parte di sabato a mezzogiorno. Arriviamo tranquillamente all'UTLO village, un agglomerato di una decina di stand che vendono roba da trail. Sto male, vorrei comprare qualsiasi cosa, ma Giulia giustamente mi tiene a freno. Compreremo solo le felpe della gara.

Arriva Carlo, mio compagno di squadra, che parteciperà assieme a me alla 34. Ha molti dubbi, perchè si è allenato poco, ma lui è un folle e se ne sbatte dell'allenamento. Io, da buon soldatino, pur riducendo i carichi, da dopo lo scarico post Golfo non ho sgarrato un allenamento.
Andiamo a cena: bistecche e patatine, birra a volontà. Prezzi altissimi, siamo sul lago d'Orta, a 5 km da noi c'ha il ristorante Antonino Cannavacciuolo, ci siamo passati la domenica ed è uno schiaffo alla miseria, perciò insomma ci sta di spendere 30 euri a testa per un primo e un secondo.
Andiamo, dopo cena, a goderci la partenza alle 23:00 della gara da 120km. Grande clima, il paese di Omegna è addobbato a festa per questa grandissima gara che da tanti anni attira i più forti atleti del panorama italiano ed internazionale. E' emozionante vedere un tizio (che secondo me scoppierà dopo poco) partire a razzo dopo il via della 120, seguito da una folla di quasi 400 atleti che schiamazzano per le vie di Omegna, ricambiati dal pubblico. E' bellissimo, mentre si torna a casa, vedere da Omegna la colonna di luci che sale nel buio sul Mottarone.
Basta. Si dorme, a mezzogiorno tocca a me. L'obiettivo è finire prima che venga buio, cioè all'incirca prima delle 18. 6 ore di gara.

 

La Gara
Dopo aver ritirato il pettorale all'UTLO village inizia a salire la voglia di correre. Io non la chiamo tensione, perchè tensione è una cosa negativa.
Ci fanno accedere al cancello di partenza. Do un bacio ai bimbi, ed entro. Non si scappa più. Indosso i miei poco fidati sandali nuovi, Minimal Sandals, perchè la mattina mi sono accorto che dall'ultimo lungo sull'Appennino uno dei due lacci dell'infradito è leggermente mollato dal suo aggancio nella suola. Spero che regga, li stringo bene e sento che sono stabili. Ma io quest'anno ne ho già strappati 4 paia diversi, di sandali, ed il timore che questo sia il quinto c'è.

Via.
Sfiliamo lungo la via transennata dalla piazza del paese, per un po' sto insieme a Carlo poi nel marasma dei 400 partecipanti della 34Km lo perdo. Lui ha intenzione sicuramente di tenere un ritmo più blando, io no: mi sono sfondato di ripetute in salita su due strade dure delle nostre colline, e si vede che da giugno ho iniziato a correre in salita. Poco dopo la sfilata inizia una salita non troppo lunga su asfalto ma dove il gruppone di camminatori rallenta: io non sento discorsi e mi metto sul passo da corsa in salita, ne stacco tanti e poi tanti, contavo di levarmi dal gruppone.
Ma il gruppone è veramente enorme, ed all'ingresso sul primo sentiero della gara si crea un imbuto. La salita del primo sentiero fa tipo 400 m in meno di 2Km e tutti camminano. Io mi imposto su una camminata veloce, ma è difficile superare su quel single track strettissimo a zig zag. Qualcuno lo supero, ma fondamentalmente non mi cambia nulla. 
Spiana, si corre, saliscendi corribile, si corre, poi piano piano si arriva alla prima pettata: la salita per il monte Mazzoccone. Andremo da 500 a 1500m d'altezza e aimè il sentiero è più stretto di prima. Vorrei pestare forte, in salita, camminando ovviamente, ma i camminatori più lenti mi rallentano. E nel tentativo di superare da un lato un po' sassoso avviene il primo danno: il sandalo verso il 7Km si incastra su un sasso e l'infradito si inizia a sfilare. 
Perdo la stabilità sul sandalo destro, lo stringo e spero che non si strappi, non ora, sono solo al 7km devo fare una delle salite più dure del mio giro ed al 13esimo c'è il ristoro: lo riparo lì, ma ci deve arrivare. La salita fino al monte è sempre più ripida, ma ce la faccio. Inizia una discesa dove potrei pestare, sentiero bello liscio e morbido, largo per superare la gente, ma un sandalo balla, e quindi non posso sparare.

L'arrivo all'Alpe Camasca, ristoro dei 13Km, è accolto in pompa magna da un numero altissimo di casinisti dotati di campanacci, tamburi e robe simili. Tutti che vanno a mangiare, io me ne sbatto e vado dai volontari: "avete un po' di scotch, del nastro, qualcosa di appiccicoso?" Un ragazzo mi porta del nastro isolante da elettricisti nero. Faccio circa un milione di giri intorno all'infradito, lo avvolgo bene, lo stabilizzo come non mai, forse più dei sandali originali, a costo di coprire un po' di tacchetti della suola e perdere un po' di grip su quel piede, ma i sentieri sono facili ed asciutti, il grip oggi serve a poco, per fortuna. Prendo l'acqua e riparto, alla volta del Monte Croce, 1600m. Carlo dopo circa mezz'ora dalla mia partenza arriverà al ristoro e si ritirerà per crampi.

La salita del Monte Croce è meno dura di quella del Mazzoccone. Sale più dolce, ed il sentiero in alcuni punti è più largo. 
Quindi, coi sandali che vanno, inizio di nuovo a superare gente. In cima al Croce c'è un nebbione, però fa caldo. Siamo partiti tutti in magliettina, e per ora va bene così. Nonostante sia fine ottobre e siamo a 1600m (un anno ha nevicato lassù), quest'anno si sta bene.
Superato il Croce, inizia una bellissima discesa lunghissima stile sentieroni di crinale dell'Appennino. Vado giù, tranquillo. Il sandalo tiene, e si corre bene fino al secondo ristoro, quello del 22esimo: Alpe Sacchi. E' quasi fatta ma...
Dal 22esimo km inizio ad accorgermi che quell'agglomerato di nastro intorno al sandalo sta cedendo, e mi scappa dalla ciabatta.
Mi fermo e lo rimetto a posto. Si riparte per circa 1km.
Mi fermo e lo rimetto a posto. Si riparte per un altro km.
Questo tira e molla mi fa perdere tempo, non corro fluido come vorrei, mi dimentico di mangiare la barretta proteica e taaaac! Su una salitina corribile crampi. Mi fermo, mangio, bevo sali, rallento. Risolti. Altro tempo perso. Ma per lo meno ho risolto i crampi.

Ma non si risolve per niente invece il problema del sandalo. Superato il bivio dove la 34 taglia verso Omegna rispetto alle altre quattro gare (dove un bollito della 80 si era perso andando lungo invece di girare), continua il mio calvario con questo sandalo fino a che, al 27, il laccio dell'infradito cede e si strappa definitivamente.
Vediamo: il mio nastro è sempre buono, stringe abbastanza. Mi ingegno un po', da buon Survival. Lego il laccio dell'infradito al nastro, così lui non scenderà più e il sandalo terrà un altro po. Mancano solo 7 km, dai sandalo maledetto resisti.

No. Al 30 si strappa il nastro. Stavo venendo giù come un sasso, prima che si rompesse abbiamo percorso un bellissimo sentiero in discesa in un castagneto, stavo recuperando posizioni a ruota. E lui mi tradisce.44696038 10217231466686797 9183756937848684544 o

Però, c'è un però.

Io corro scalzo, tranquillamente, sia su asfalto che su trail. Quindi? Fanculo i sandali, finisco "barefoot". Mancano 4Km, ne ho fatti 14 sul trail di Storm the Castle quest'estate, andiamo a tagliare quel maledetto traguardo che il sole è ancora alto in cielo.
Il problema è che sotto ai castagni ci stanno i ricci, e non posso tenere la stessa andatura di quando avevo la minima protezione. Rallento, gli scarpati inevitabilmente mi superano in tanti, ma sono solo 2km di sentiero e resisto, perchè il finale della gara è una bellissima passerella sul lungo lago di circa 2km.
Così, dopo aver detto circa 250 volte a circa 250 persone che correvo scalzo perchè mi si erano rotti i sandali, aver ricevuto complimenti ed insulti, e molti sguardi straniti della gente, arrivo sul lungo lago, dove gli sguardi aumenteranno. Sono stanco, perchè nonostante le pause ho dato veramente tutto, ma tengo un 6' a km che mi va più che bene.

A 3-400 metri dall'arrivo li vedo: Leo, Giulia e Tommy che mi aspettano.
Leo smania per partire con me verso il traguardo: mi faccio vedere da Giulia e Leo passa sotto alle transenne.
Guardo il cronomentro. Corri maledetto nano, corri, che siamo a 5h e 38 e voglio fare il colpaccio.
Leo, un po' a fatica, tiene il mio ritmo mentre lo tiro tenendolo per mano.
E arrivati alla passerella, sfiliamo insieme sotto al traguardo. Bellissimo, la gente che applaude, lo speaker che annuncia il mio arrivo insieme a mio figlio: faccio dare a lui la medaglia di finisher e mi godo la birra che Carlo mi da subito dopo l'arrivo.
Sono contentissimo: 5h 39 min, arrivato abbondantemente prima rispetto al mio obiettivo. Sarebbero stati 20 di meno, forse, se non avessi avuto problemi col sandalo, sarebbe stato un tempone, ma anche così per me va benissimo. Manca ancora un bel po' al tramonto.
Sono stracontento perchè ho dimostrato ancora una volta a me stesso e forse a chi mi ha visto che le scarpe fondamentalmente sono solo un ausilio, si corre coi piedi e con la testa.

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Ad oggi, insieme al Mugello Trail, una delle gare più belle che abbia mai fatto.
Sentieri bellissimi, pieni di qualsiasi cosa che una gara di Trail possa offrire: salite corribili, salite spaccagambe, discese corribili, tratti tecnici, tratti in piano dove recuperar la gamba e posti spettacolari. Un'organizzazione di gara che fa capire come mai questa sia una delle gare più famose d'Italia: non un pezzo fuori posto.
Sono rimasto a sognarla per molti giorni, dopo aver tagliato quel traguardo. Vero è che questa, come il Golfo dei Poeti, senza gli allenamenti duri del coach Iavagnilio, senza il seguito alimentare e dell'allenamento funzionale del coach Rigoli ma soprattutto la megapazienza di Giulia quando sparisco per 10 ore nel bosco, non l'avrei finita con questi tempi.

Mi è piaciuta così tanto che la rifarò. L'anno scorso ho avuto il rimpianto di non tentare di fare la 60.
L'anno prossimo Omegna mi rivedrà di sicuro.

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La Mia Prima Cento Miglia: La Corsa della Bora 2019 di Gabriele Ianett

LA MIA PRIMA CENTO MIGLIA: LA CORSA DELLA BORA

Ho conosciuto la Corsa della Bora circa due anni fa nella sua versione di Ipertrail. Un viaggio, più che una gara, da affrontare in totale autonomia. Una traccia GPS da seguire e non le solite fettucce. Nessun ristoro, ma una scatola di legno all'interno della quale mettere quello che si ritiene necessario avere durante il viaggio. Scatola che poi l’organizzazione si impegna a far trovare di volta in volta nei punti prestabiliti lungo il percorso. Un format simil PTL che mi ha affascinato da subito. Una gara lunga, impegnativa, corsa in un periodo dell’anno climaticamente ostile.

E poi il contesto storico e paesaggistico in cui si svolge. Il Carso, un altopiano che respira storia, paesaggi bellissimi che purtroppo evocano anche terribili ricordi di atrocità fatte dall’uomo. E Trieste, una città che ho imparato ad amare dai tempi in cui ho lavorato a Cormons.

Un’esperienza diversa, una sfida con me stesso, ma per la quale non mi sentivo ancora pronto. L’unica soluzione sarebbe stata quella di farla in squadra, ma vana fu la ricerca di un prode compagno: nemmeno il Leoncini era disposto a seguirmi. Segnaccio!

Quando ci iscriviamo ad una gara c’è sempre un motivo. Questo può essere semplice, a volte banale, come la ricerca di un po' di svago, di divertimento con gli amici o il crearsi un pretesto per “fuggire dalle grinfie del divano”. I più audaci si iscrivono per vincere. Nel mezzo a questo ci sono decine, centinaia di sfide che si consumano dentro ad ogni gara. Sfide in primis con sé stessi e che gli altri ignorano.

Ogni persona che si presenta in partenza deve essere rispettata al massimo, perché non ne possiamo conoscere le motivazioni, l’impegno che ha preso verso la gara e soprattutto la storia che l’ha portata fino a lì.

Ogni persona che si presenta in partenza deve avere rispetto verso la gara e verso gli altri concorrenti, i compagni di viaggio, riconoscendo le proprie capacità e soprattutto i propri limiti.

Per partecipare ad una gara di UltraTrail e nella fattispecie ad una 100 miglia le motivazioni devono essere molto forti e radicate. Dobbiamo sentirci pronti. Dobbiamo essere pronti. Ma purtroppo, non sempre è così.

Allora succede che, in quel piccolo gruppetto di persone riunito sotto lo striscione di partenza, possiamo trovare mescolati

  • i così detti Top Runner, coloro che fanno un altro sport. Sponsorizzati, seguiti, allenati. Finiscono la gara nella metà del tempo che impiega la media del gruppo.
  • i corridori seri, quelli che hanno esperienza, sanno correre e soprattutto sanno gestire fisicamente e mentalmente situazioni di difficoltà e di pericolo
  • i corridori che stanno imparando a diventare seri, spesso in coppia con un corridore serio, da cui cercano di succhiare esperienza a più non posso
  • i camminatori seri, coloro che affrontano l’evento non sotto l’aspetto competitivo, ma sotto l’aspetto ludico motorio, correndo lo stretto necessario per rientrare nei cancelli orari ma godendosi il paesaggio ed il viaggio.
  • coloro che sarebbero dovuti rimanere a casa ed incautamente si sono iscritti ad una cosa più grande di loro e che non possono gestire. Non perché si debba essere persone speciali, assolutamente, ma si deve avere un’esperienza alle spalle, una preparazione adeguata ed una forte motivazione per arrivare alla fine. Sono coloro che non hanno ancora capito che per “spostare avanti i propri limiti”, per prima cosa, sarebbe necessario conoscerli…

Ed è stato proprio un senso di inadeguatezza a non farmi iscrivere nei due anni precedenti.

Quest’anno invece è scattato qualcosa. Nella testa, intendo. Ero deciso a farla, anche da solo. Quando ho scoperto che oltretutto sarebbe nata la 100 Miglia “Ultra”, cioè balisata e con i ristori, la decisione era quasi presa. Meno affascinante della “Iper”, ma sicuramente più semplice da gestire, anche da solo. L’unico freno rimaneva il dover correre per il giorno di befana e quindi non poter essere a casa con la mia famiglia. Dopo averne parlato con la santa di mia moglie, la decisione era presa. È il primo di settembre: mi iscrivo.

Mando la foto del certificato di iscrizione a Pietro e qui avviene il miracolo. Passano pochi giorni e decide di iscriversi anche lui. Vorrei dire che questo è ammmore, e lo avrei detto se non mi avesse rinfacciato questa decisione, giusto quel migliaio di volte. Quindi non lo dico. Ma è. Forse.

Iscriversi ad una gara è diventato semplicissimo, bastano pochi click sul computer. Subito dopo l’ultimo click, nel momento in cui sono dentro, mi sento già finisher. La mia mente è fin troppo ottimistica e si fa prendere dall’entusiasmo, piazzandomi già minimo minimo sul podio.

Passano pochi giorni e inizia la raccolta dell’uva bianca. Prima di essere travolto dallo tsunami vendemmia riesco a farmi qualche corsetta sulle colline Chiancianine tanto per dare un po' di sfogo a quell’ Alien-tusiasmo che si è impadronito del mio corpo.

Finisce la vendemmia e finalmente posso dare inizio ad un programma di allenamento serio. Il 2018 è stato un anno sabbatico e fino a quel momento mi ritrovo all’attivo soltanto una gara, la Ronda Ghibellina corsa peraltro a fine gennaio. La condizione fisica non è poi il massimo. Per fortuna parto da un peso corporeo accettabile. Chiamo il mio coach Alberto Lazzerini detto il Bussino, analizziamo le caratteristiche della Corsa della Bora e pianifichiamo la preparazione.

Iniziamo la seconda settimana di ottobre. Dobbiamo lavorare sul ritmo. La voglia di correre è tornata, dopo alcuni mesi in cui il disagio aveva avuto la meglio nella battaglia interiore. Riaffiora del “Cauto Ottimismo” come direbbe il buon Federico Matteoli.

Intanto a Pietro iniziano ad affiorare i primi sintomi di ansia. Se la prende con me per averlo coinvolto in questa cosa, anche se a dire il vero io manco gliel’ho chiesto…oh allora? Ci vuole pazienza…

Il mio fisico risponde bene ai carichi di lavoro e se ne vedono subito i risultati. Alberto quindi si sbizzarrisce a trovarmi allenamenti sempre diversi e divertenti, tipo correre 30Km in monte il sabato sera al tramonto, dormire poche ore e ripartire alle 4:00 della domenica mattina, appena spiovuto, per un 30Km su asfalto.  

Non forzo mai le velocità per scongiurare il più possibile gli infortuni. Scelta azzeccata. Lavoro molto sull’aspetto interiore, cercando di ascoltare il linguaggio del mio corpo. Scopro che possiamo dialogare. Diventiamo amici io e me stesso. Imparo a tenere il ritmo voluto con una buona regolarità. Mi vedo già sul podio della Bora.

Pietro ha l’uggia. Comincia a pensare di vendere il pettorale.

Il Coach ordina di fare una gara “lunga” verso fine novembre. Io da buon allievo eseguo. Individuo il Trail del Cinghiale che sembra perfetto per nome, lunghezza, dislivello e location (elencati in ordine di importanza decrescente). Mi iscrivo, mando la foto del certificato di iscrizione a Pietro e mi immagino il solito protocollo. Invece questa volta c’è un bug nel sistema e Pietro non mi segue. Ma non lo prende proprio nemmeno in considerazione. Mai. In zona Cesarini si aggiungerà invece il buon Marcello Villani. Graditissima sorpresa e ottima compagnia. La gara va decisamente bene, le sensazioni sono molto buone, ma purtroppo lascerà uno strascico piuttosto antipatico. Una distorsione alla caviglia sinistra pregiudicherà la preparazione per quasi tutto il mese di dicembre. Non riesco più a correre oltre 12Km senza incorrere in fastidi muscolari. Inizio a mettere in dubbio la mia partecipazione alla Corsa della Bora. Ma per fortuna che il buon Dio mi ha fatto conoscere Claudio Maggi, molto di più di un fisioterapista…un guaritore.  Mi impone le sue sapienti mani. Continuo ad aggrapparmi al Cauto Ottimismo. E funziona. La situazione migliora rapidamente e tra Natale e Capodanno riesco a correre 120Km senza particolari fastidi.

Intanto altro colpo di scena in zona Cesarini. Sempre lui, il buon Pandino al secolo Marcello Villani, decide di aggregarsi alla spedizione. Qualche giorno di finta riflessione ed il 31/12/2018 fa il bonifico. Anche lui è dentro.

Due giorni prima di partire ho già preparato tutto: Zaino (Osprey Duro 15), Borsa per la base vita e Valigia. Mi devo solo cambiare, riempire le borracce e posso partire…anzi no, devo ancora preparare le tigelle ed i tortellini: due fantastiche alternative a gel e barrette.

Il venerdì mattina passo a prendere Pietro alle 9:15. È più cari’o di una Powerbank. Dubbi, tensioni e paure sono svaniti. Vada come vada, finalmente la voglia di divertirsi ha preso il sopravvento. Con questa filosofia, qualunque cosa accada, nessuno strapperà mai il sorriso dalle nostre brutte facce. Arriva addirittura a fare una promessa solenne: “Se arrivo alla fine, appendo le scarpe al chiodo!” ...dovrà correre fino ai suoi ultimi giorni di vita.

Ore 9:25 siamo a casa del Pandino. Pit stop da Formula 1 e ripartiamo. Marcello è una persona veramente speciale e durante il viaggio ci racconta con una semplicità disarmante molte delle sue esperienze di Alta Montagna, di Ultratrail e di Parapendio. Sana invidia. Pietro se la dorme comodamente sui sedili posteriori.

Non sono ancora le 14:00 che siamo nel parcheggio dell’albergo. Prima di prendere possesso della camera andiamo a fare un carbo-load in pizzeria. Incontriamo i primi colleghi di avventura. Sistiana inizia ad essere invasa da Trailrunner. Il weekend prevede un ampio programma di gare:

  • S1 Ultra – 167Km con 6700 D+ suddivisa in due blocchi di partenza, uno alle 05:00 del mattino ed uno alle 07:00 del mattino, con lo scopo di tenere il gruppo più compatto
  • S1 Trail – 57Km con 2600 D+
  • S1 Half – 21Km con 530 D+
  • S1 Just Fun – 8Km con 320 D+

Noi siamo ovviamente iscritti alla Ultra e siamo stati inseriti nel gruppo con partenza alle ore 07:00.

Andiamo al Bora Village allestito in zona partenza-arrivo. Siamo un’ora in anticipo rispetto all’apertura, ma è già possibile ritirare pettorali e pacco gara. Espletiamo tutte le pratiche. Sono le 15:30, la giornata è bellissima ed abbiamo ancora un paio di ore di luce a disposizione. Pietro non è mai stato da queste parti quindi non posso esimermi dal portarlo a visitare il Castello di Miramare. Il tramonto è fantastico. Camminiamo ognuno per conto proprio, ormai la tenZione pregara comincia a prendere vita nei nostri corpi. Sappiamo che presto se ne impossesserà in modo demoniaco.

 

Ci rimane il tempo di fare anche un salto a Trieste città, per far vedere a Pietro una delle piazze più belle d’Italia: Piazza Unità d’Italia.

Torniamo in albergo dove dobbiamo allestire le sacche che ci faranno trovare in Base Vita al Km85. Purtroppo, non accettano le nostre sacche e quindi dobbiamo adeguarci ai volumi imposti. Pietro se la dorme sul letto.

Alle 19:30 siamo nuovamente al Bora Village a consegnare le sacche. Fa freddo, troppo per aspettare il briefing. Ci dicono che lo possiamo seguire in streaming, quindi ci fiondiamo nel caldo della pizzeria. Il menù ormai è standard: Pizza, Birra e tenZione pregara. A fine pasto facciamo una graditissima conoscenza, il Pelinkovac, un digestivo prodotto con la macerazione dell’Assenzio nel distillato di vinaccia istriana. Non so se rientri tra le sostanze dopanti. In caso affermativo, allora squalificateci tutti e tre!

Pelincovaz

Ed eccoci nei nostri letti. Sveglia puntata alle ore 05:00. Alle 5:30 abbiamo la colazione che ci aspetta. Già perché da queste parti la mentalità del lavoro è un po' diversa. L’albergo garantisce la colazione sia a coloro che si alzeranno alle 03:00 del mattino per la prima partenza delle 05:00, sia a quelli che insieme a noi si alzeranno alle 05:00 per la partenza delle ore 07:00. Chapeau. Pietro e Marcello svengono immediatamente nei loro giacigli, mentre io mi rilasso ascoltando un po’ di musica.

Sono il primo ad alzarmi per una rapida doccia. Scendiamo per la colazione che abbiamo il piacere di condividere con quella grandissima atleta che è Cristiana Follador. Sempre sorridente e piena di vita. Noi invece stiamo in “timoroso” silenzio. La TenZione inizia a farsi sentire sempre D+. La voglia di parlare crolla drasticamente. Risaliamo e finiamo di prepararci. Io curo particolarmente i piedi, utilizzando per la prima volta del nastro per evitare la formazione di galle (anche se non è un problema di cui soffro, ma vista la distanza da percorrere, voglio qualche garanzia in più) e un gel antisfregamento. Mentre scrivo, percepisco nuovamente la tensione di quei momenti. Ed è una sensazione bellissima. Si entra in uno stato di profonda concentrazione, è il momento in cui chiudiamo i rapporti con il mondo esterno ed iniziamo un viaggio introspettivo che, almeno per me, durerà fino ad un paio di giorni dopo la gara. Cambia il modo con cui processiamo le informazioni che percepiamo dall’esterno. Cambiano le priorità che diamo alle cose: noi diventiamo la nostra priorità. E forse questo è uno dei motivi per cui mi sono innamorato di queste gare: impariamo a conoscere noi stessi, i nostri limiti e gara dopo gara, allenamento dopo allenamento, ad espanderli.

Ma eccoci al Village. Appena scendiamo dalla macchina conosciamo un altro pisano che parteciperà alla gara, Andrea Buoncristiani. E che gara che farà!

C’è molta concentrazione tra i centomiglianti e forse complice anche il freddo, si parla poco. Eseguiamo la punzonatura di rito e verifichiamo che i GPS di cui ci hanno fornito, siano correttamente accesi. Già, questi piccoli strumenti permetteranno ai nostri milioni di fans di seguirci in diretta e agli organizzatori di smascherare eventuali tagliatori. Con Pietro e Marcello ci diamo il “cinque” e forse l’imbocca al lupo. Non ricordo, ormai sono in un altro mondo. Ognuno preparerà la partenza a modo proprio.

Ci schieriamo sotto al gonfiabile. Io gioco a fare il Toprun e mi metto davanti, così strappo anche qualche scatto “famoso”. Per qualche misero frame, finirò pure sul video ufficiale passato da Sky Sport 24. Sono concentrato, eccitato e grato di essere lì. Vada come vada.

Ultime raccomandazioni degli organizzatori: “dopo Golac (Base Vita) rimanete sempre sul sentiero perché ci sono molte foibe…al confine con la Croazia correrete alcuni Km accanto al filo spinato, quindi fate attenzione a non caderci dentro!” …tanto per dare una strizzatina alla tenZione, qualora ce ne fosse ancora di bisogno.

Conto alla rovescia e finalmente iniziamo il viaggio. Mesi di preparazione, di sogni, di organizzazione, di timori, di infortuni si condensano e svaniscono in un “puf”. Tutto quello che fino ad ora era vissuto solo nell’immaginazione, adesso è lì. È reale.

Da questo momento serve soltanto concentrazione e dialogo tra io e me stesso.

Il gruppetto dei veri TopRunner si stacca subito e tiene un passo leggermente più veloce. Scendiamo verso il mare. È ancora buio ma io non uso la frontale. Parassito la luce degli altri per una ventina di minuti, in attesa che sorga il sole. Ci immettiamo sul sentiero che corre parallelo alla costa. Albeggia. Un vero spettacolo della natura. Peccato che duri per pochi minuti, fino a quando il sentiero piega sull’interno abbandonando la costa e cominciando a salire. Il gruppo si allunga rapidamente e si spacca in tanti piccoli frammenti. Io mi ritrovo in un frammento di 6-8 persone tra cui spicca un runner abbigliato in camicia a maniche corte. Ora io non soffro il freddo, ma lui mi batte. Parliamo per alcuni Km. Questa parte collinare è molto carina. Peccato che la giornata sia un po' uggiosa, con cielo completamente coperto di nuvole. La temperatura è accettabile, ma qualche raggio di sole avrebbe giovato sia ai colori della natura, che alla nostra temperatura corporea.

Il tratto è molto “correvole” e noi lo corriamo, fino a quando ci imbattiamo in una salita breve ma ignorante, in fianco ad alcuni tralicci della rete elettrica. Ecco, lì camminiamo. Anche il nostro frammento si frammenta ulteriormente. Rimaniamo in quattro.

Sono concentrato sulle due cose essenziali che dovrò fare con regolarità per tutta la gara: mangiare (una volta ogni ora) e bere (una borraccia di acqua ogni ora).

Intanto, tra una chiacchiera e l’altra, i primi 20Km se ne sono andati ed arriviamo al primo ristoro in località Gorjansko. Stando alle testimonianze trovate su internet mi aspetto dei ristori spettacolari, con prodotti tipici e tanta birra. Mi appropinquo quindi ben disposto e curioso, ma ci rimango un po’ male. Riempio le borracce e riparto.

Il nostro gruppetto di quattro persone fa come lo Shuttle e perde un altro pezzo. Rimaniamo in due, io ed un altro Ultrarunner dal bellissimo zaino griffato Cars. Lui ha un ottimo passo, ma anche io ho un ottimo passo. Quindi a rigor di logica abbiamo due ottimi passi. Nello specifico però abbiamo anche lo stesso passo. Parliamo e facciamo conoscenza. Lui si chiama Filippo, io Gabriele. Piacere. Comincio a notare che più o meno conosce ed è conosciuto da tutti. Passiamo un concorrente che lo chiama per cognome: “Remadooooorrr” con la stessa fonica di “J’adooorrreee”. Remador?!? Quel Remador??? Naaaaaa, dai!!!  La sua fama di “cagnaccio” da alta montagna lo precede. Lo Zatterone lo conosce bene. Capisco subito di avere l’occasione per imparare molto da una persona decisamente più esperta di me.

Non siamo ancora a tre ore di gara che iniziamo a raggiungere i primi “camminatori” partiti alle 05:00. Hanno degli zaini enormi, viene da pensare che abbiano offerto un passaggio anche a tenda e sacco a pelo. Qualcuno, non a caso, sembra già piuttosto affaticato. La maggior parte di loro però è gente allegra (...il ciel l’aiuta!): scherza, fa foto, saluta. Il più simpatico di tutti ci battezza così “voi andate più forti perché avete dormito due ore D+...siete più riposati”. Troviamo un gruppo nutrito, saranno una decina di persone, che arrivati ad un incrocio a “T” va in crisi... si spacca, qualcuno gira a destra, qualcuno a sinistra...alcuni rimangono fermi e i più audaci seguono me e Remadooooorrrrrr. Noi facciamo la cosa più banale, ovvero seguiamo le balise (fettucce, marcature del percorso, marcavia, strisce bianche e rosse, insomma avete capito). Dopo pochi minuti, sentiamo qualcuno di quelli rimasti dietro urlare a squarciagola “Tornate indietrooooo!!!” Non credo che si riferissero a noi, rimane il fatto che di loro non abbiamo più avuto notizie. La notte potrebbero aver girato un nuovo episodio di “The blair witch project”. Stay Connected.

Troviamo un altro fan di Filippo. Ricordo bene anche il pettorale, ma non lo citerò per il rispetto delle rigide norme sulla privacy. Buffissimo. Si mette al nostro passo per qualche decina di metri. Poi rimane indietro fino a quando inizia una discesa. Io e Pippo scendiamo tranquilli lasciando andare le gambe (non siamo ancora al trentesimo Km), lui invece ci passa a tutto fòò!!! Finita la discesa lo riprendiamo e Filippo gli fa un tenero ed amichevole cazziatone sulla sua tecnica di discesa. Lui metabolizza, rimane indietro, poi fa una progressione, ci raggiunge, sta con noi qualche altra decina di metri, poi si dissolve nel nulla. Le opzioni sono:

  • Sta facendo Fartlek
  • Sta facendo il test di Cooper
  • È un Baol

Abbiamo un ottimo passo, ma su una salita arrivano da dietro (per forza...) due sloveni che ci passano ed allungano. Dopo qualche minuto il buon Remadoooorrr mi chiede notizie dei due...però, così èèè... non che gli interessi noooooooo...io gli dico che li ho appena visti un po' più avanti, forse due minuti...ma anche a me non interessa niente...nooooooooo. Perché noi non siamo garosi. Ovviamente li riprendiamo, facilitati anche da una loro sosta al bagno. Li passiamo e li dimentichiamo dietro. Perché noi non siamo garosi. No, no, no.

Tutta questa prima parte di gara si sviluppa lungo il confine tra Italia e Slovenia. Incontriamo spesso dei cartelli che indicano il confine di Stato. Attraversiamo due bellissime Riserve: La Riserva Naturale del Monte Lanaro e la Riserva Naturale del Monte Orsario. Sparse in qua e in là qualcuno ha disseminato mucche al pascolo. Una in particolare è un po' strana...ha un corno rivolto verso il basso. Buffitudini della natura!

Sembriamo due neo-fidanzatini. Ma ormai ci siamo conosciuti, i preliminari sono andati, e adesso dobbiamo conoscerci meglio. Dunque, è il momento di mettere a nudo i nostri progetti, le nostre intensioni. Inizia lui con un “mi piacerebbe finirla nelle 30 ore, sarebbe un bellissimo risultato”. Io approvo e confermo subito “anche io, è il mio stesso obiettivo!”. Bene, adesso la pillola va addolcita. Lui “però l’importante è finirla”. Io “assolutamente, anzi la cosa più importante è arrivare alla fine, poi se stiamo nelle trenta ore, sarebbe fantastico”. Mentiamo sapendo di mentire. Entrambi vogliamo ardentemente stare sotto le trenta ore. Adesso che abbiamo scoperchiato il vaso, io vado anche oltre. Comincio a fare qualche acerbissima proiezione nella mia mente malata...”dunque...al momento saremmo addirittura su un passo da meno di 22 ore, ma considerando la notte, il freddo, le salite e la stanchezza, sogno un arrivo nelle 26-28 ore”. Per adesso però tengo tutto per me, non mi sbilancio.

Tra calcoli&chiacchiere il tempo scorre via veloce e in 5h arriviamo al secondo ristoro al Km39.  Siamo a Fernetti, ed il quarto è solo mezz’ora avanti a noi. Il ristoro ci propina più o meno le solite cose del primo, con l’aggiunta di uvetta, noci e poco più. Il ristoro successivo sarà tra 25Km quindi decido di mettere un litro di acqua anche nella Camel Bag. Intanto Filippo si avvia di passo. Io lo seguo a due minuti di distanza e decido di mandare qualche messaggio ai miei numerosi fans. Prendo il cellulare, ma come succede spesso in questi casi, mi ha abbandonato. Tutto nero, non si riavvia nemmeno. Morto. Lo ripongo là da dove lo avevo preso e corricchiando recupero Filippo.

Dopo un breve tratto di asfalto, sulla sinistra, ritroviamo il sentiero. Poco più avanti ci troviamo a dover attraversare i binari della ferrovia. Così, come nulla fosse. Guardiamo a destra e a manca, tutto libero. Ciufff Ciufff non ne sentiamo, allora andiamo. Dopo poco il sentiero torna molto corribile. Siamo su un lungo tratto di forestale, bella larga. La saggezza di Filippo inizia a zampillare.

Dalla Prima lettera di Filippo a Gabriele. “1Stiamo andando troppo forte, dobbiamo rallentare un po', 2altrimenti rischiamo di crollare stanotte o domattina. 3La notte sarà dura e difficile, perché farà freddo, perché la notte comunque si corre più piano e perché la parte più impegnativa l’affronteremo al buio e sarà dopo la Base Vita”. “4Vedrai che i Top Runner faranno la differenza stanotte”. “5Sarà importantissimo stare insieme la notte”. Lui l’ha già corsa due anni fa, anche se nel senso contrario. Da buon discepolo seguo alla lettera ogni versetto. Mi permetto di rivendere un’indicazione del Bussino “Queste gare qua iniziano al 120esimo Km”. Lui conferma, io mi sento ganzo.

Ogni tanto interrompiamo la corsa e intervalliamo con tratti di 1-2Km a passo svelto. Colgo l’occasione per offrirgli anche una tigella farcita con formaggio. Accetta di buon grado. È vero che fredda fa un po' pillo, ma si rivelerà un ottimo corroborante, al pari dei tortellini consigliatimi dal buon Daniele Rundi Guidi. Mentre ci godiamo le nostre tigelle, faccio notare come si stia mantenendo un ottimo passo e che al momento, come proiezione, saremmo addirittura sotto le 24h. Se la ride e mi invita a non prendere minimamente in considerazione quei tempi. Alle 24h non ci credo nemmeno io, ma tra le 26h e le 28h, beh, mi piace sognarle...lui continua a sposare il Cauto Ottimismo e ripete “Stare sotto le trenta ore sarebbe un bellissimo risultato”.

Iniziamo una lunga discesa, segnalata come veloce, che ci accompagnerà fino al prossimo ristoro. Così dice l’altimetria. E in effetti scendiamo veloci.

Mi racconta come un anno fa si fosse rotto il tendine di Achille. Oggi è qui con me a fare una cento miglia. Estika! Complimenti et Ammirazione.

Nel frattempo, ci accorgiamo che i 25Km che avrebbero dovuto separare i due ristori li avremmo già percorsi, o almeno così direbbero i GPS, ma del ristoro non vi è traccia. Anzi, siamo ancora in zone boscosamente boscose. Lui è a corto di acqua. Io gli offro un po' della mia che ho nella camel bag. Ciuccia & Ringrazia.  Dopo circa 2Km vediamo delle case, ci illudiamo di essere arrivati. Ci illudiamo appunto, perché le balise ci portano su un altro sentiero ancora. Iniziamo ad innervosirci. Non che ci manchino Food & Beverage, in coppia ne abbiamo a sufficienza. Quello che dà fastidio è quando saltano i riferimenti dati dalle mappe. Queste gare, mentalmente si reggono sulla frammentazione in piccoli traguardi, tipicamente da ristoro a ristoro. Una gara così lunga non la si affronta certamente pensando a quanti km ci separino dalla fine. Quando il ristoro non lo si trova al Km programmato, la mente non gradisce molto ed il soggetto inizia ad innervosirsi. Figuriamoci se oltretutto il soggetto in oggetto si trova a corto di acqua. Meglio stare alla larga da quel soggetto...e anche dall’oggetto.

Il nuovo sentiero è breve e sfocia su una strada. Ci viene in contro un tipo sorridente che si complimenta con noi. La domanda è una sola. La risposta è celere...mancano 150 metri, passate sotto la ferrovia e lì c’è il ristoro. Era l’ora. Scopriamo come questo stint sia stato allungato di 2Km abbondanti a causa dell’inagibilità di un tratto di sentiero programmato. Magari dirlo prima della partenza poteva essere un’idea...così...

Brgod, terzo ristoro. Km64, no anzi, Km66 abbondante. 8h30’. Entriamo dentro ad un tendone, è riscaldato. Ci sono parecchi runners. C’è anche Andrea, l’altro pisano. È piuttosto nervosetto, perché  è rimasto senza acqua negli ultimi km, quindi ha sofferto parecchio...non ha gradito molto questo “regalo” di km.

Abbiamo a disposizione un pasto caldo. Questo è un ristoro serio. Provo a prendere dei crauti con fagioli, ma il mio stomaco non gradisce quel sapore forte e quindi baratto il tutto con un più semplice riso ai piselli. È più commestibile, lo considero materiale corroborante e quindi butto giù. Ci sarebbero anche le salsicce, ma non mi vanno. Mi regalo un biscottino al cioccolato e un po' di uvetta. Sul tavolo c’è anche una bottiglia di grappa che mi guarda. Io la guardo e le dico che sono astemio. Lei non mi crede, però capisce che la mia è una bugia detta a fin di bene. Riempio le borracce, rabbocco la camel, prendo le bacchette e ripartiamo.

Saliamo su un single track semi erboso. Recuperiamo Andrea il pisano, che è seduto e sta litigando con le scarpe. Lo passiamo, lui riparte e si unisce a noi. Rimane per un paio di Km a farci compagnia, poi allunga. Noi andiamo cauti e ci preserviamo per la notte. Lui va forte, in bocca al lupo!

Sul finire della giornata si ricorda di noi pure il sole. Ed è subito amore.

Saliamo fino a 900 metri di altitudine. Il sole, sbucato da poco, inizia a calare e con lui anche la visibilità. Prendiamo le frontali aiutandoci a vicenda, senza dover togliere gli zaini. Uno degli aspetti positivi del correre in coppia. Inizia un’altra lunga discesa corribile. La temperatura dell’aria cambia rapidamente e quel bel tepore del sole ci abbandona per un meno simpatico freddo-umido, come dire, fastidiosetto. Le fettucce bianche e rosse non sono rifrangenti e quindi si vedono con difficoltà. Gli organizzatori però hanno trovato uno spray di colore argento che è invisibile di giorno ma riflettentissimo di notte. Figata! Si riesce a notare anche se illuminato da 100 metri di distanza. Ogni tanto ci sono anche delle fettucce rosse con catarifrangente al centro, ma sono piuttosto sporadiche. Fino ad ora il balisaggio rasenta la perfezione. E se lo dico io...

La Base Vita è data al Km85, ma considerando l’allunga, ci aspettiamo di trovarla al Km87-88. A mano a mano che ci avviciniamo iniziamo a fare il TotoLuce, ovvero la gara a chi indovina quale luce sul monte corrisponderà al Ristoro. In qualche modo bisogna passarlo il tempo...

Programmiamo quella che dovrà essere la sosta in Base Vita. Ci diamo dai 30’ ai 45' per cambiarci, mangiare e dare un po’ di riposo alle gambe.

Dalla Seconda Lettera di Filippo a Gabriele “1Il riposo che noi daremo ora alle gambe, 2loro ce lo restituiranno domani mattina

Golac, Base Vita. Km88, 12h6’. Arriviamo belli come il sole. Badgiamo l’ingresso. Siamo ad 1h dal quarto in classifica.

Recuperiamo le nostre borse con i cambi. Sono fuori al freddo e all’umido, fantastico! Entriamo nella struttura dove non fa poi così caldo. Dopo la nefasta esperienza al CRO decido per prima cosa di cambiarmi e poi di andare a mangiare. Esplodo il contenuto della borsa sul lettino e recupero subito l’asciugamano per asciugarmi. Mi infilo immediatamente la maglia smanicata&aderente, in assoluto per me l’indumento più importante. Ma in quel momento si consuma il mio dramma: è freddissima e peggio ancora umida. Da lì ad entrarmi il freddo è solo una questione di decimi di secondo.

Vicino al mio lettino c’è un supporto legnoso a quattro zampe sulla cui superficie superiore GIACCIONO fette di pane e dell’ottimo salame di tipo felino. Li assaggio. Li mangio. Li rimangio. Vicino al mio lettino c’è un supporto legnoso a quattro zampe sulla cui superficie superiore GIACEVANO fette di pane e dell’ottimo salame di tipo felino.

Nel mentre arrivano altri compagni di fatica ad occupare gli ultimi lettini rimasti, io finisco di vestirmi e cerco di scaldarmi con una ampia e complessa litania di imprecazioni. Raggiungo Filippo ai tavoli dove dovrebbero servirci il pasto caldo. Ma ho freddo, mi è entrato nelle ossa e quasi mi viene da battere i denti. Vedo il mio compagno di viaggio con davanti due salsicce, però è agitato. Mi chiede di ordinare e sollecitare le minestre alla diversamente giovane padrona del luogo. In quel momento non realizzo. Cerco e inseguo l’anziana signora, provo a braccarla ma mi sfugge come un’anguilla. Io so come si pescano le anguille e quindi riesco ad allamarla e a sollecitare l’ordine. Lì capisco che anche il mio compare non ha ancora mangiato...è da una mezz’ora che aspetta. Ecco spiegato il suo nervosismo. Mentre aspettiamo provo a rianimare il cellulare, il quale come se nulla fosse si riaccende e si mostra disponibile ed operativo. Me la cavo con circa 150 messaggi da leggere. Snocciolo gli ultimi. Purtroppo, apprendo che Pietro si è ritirato, ma non si sanno ancora le cause. Faccio un audio per aggiornare i miei numerosi fans. Nel frattempo, Filippo mi offre metà delle salsicce che ha davanti a sé. “Ma le hai ordinate te?” chiedo...”no, erano qui sul tavolo, le avranno lasciate quelli prima di noi...” risponde lui. Sono fredde, ma saporite. Appena finiamo di leccare il vassoio, arriva la minestra. Mangio la minestra, ma avrei anche potuto saltare dalla finestra...il mix freddo-caldo è una procedura ormai certa per congestionare il mio debole stomachino. Mi salvano “2 metri di libertà”, cioè il bagno libero a 2 metri di distanza. Essendo in questo caso una reazione freddo-caldo e non viceversa, me la cavo con una scarica di defecathio. Strano ma vero, appena esco dal bagno mi passa il freddo.

Torno al mio lettino e preparo lo zaino per la seconda parte del viaggio. Creo un’unica palla con tutto quello che non mi serve usando i vestiti sudati come collante. Presso il tutto dentro alla sacca e la vado a riconsegnare: il loculo di riconsegna è in un locale riparato. Cioè, spiegatemi meglio questa cosa...

È passata un’ora e mezzo da quando siamo arrivati in base Vita.

Riempio le borracce con acqua e su suggerimento del mio collega, la camel bag con thè bollente.

Zaino in spalla, racchette in mano,

Badgiamo l’uscita e ripartiamo. 

Fa freddino, quindi riprendiamo a passo svelto ma senza correre. La pensa diversamente una giovincella che riparte subito sgambettando. Noi la seguiamo, ma ci porta su una brutta strada. Saliamo su bitume fino ad un bivio senza balise, né a destra né a manca. Perfetto, potevamo ripartire meglio. Torniamo giù e troviamo il punto del misfatto. Imbocchiamo il sentiero che in questo tratto è largo e ben percorribile. Uno degli ultimi. Ormai siamo alle porte del Carso, quello vero, quello ignorante. Dobbiamo salire fino al punto più alto del viaggio, di poco oltre i 1100m. L’erba inizia a ghiacciarsi e a diventare croccante. Fa freddo. Alzo gli occhi al cielo e rimango a bocca aperta. Stelle, stelle e ancora stelle. Un vero spettacolo della natura. Di sicuro non c'è inquinamento luminoso. Il fondo inizia a cambiare. Pietre & Paleo in perfetto stile Apuanico. Incontriamo parecchie foibe di lato al sentiero. La maggior parte sono segnate con nastro bianco e rosso per tutto il perimetro. Provo a guardare dentro ad alcune e sono piuttosto profonde. Caderci dentro non sarebbe una bella esperienza. Meglio rimanere nel sentiero. Ci avviciniamo alla vetta, finisce il tratto di bosco e rimaniamo scoperti, prede di un venticello teso che porta il freddo direttamente dentro alle ossa.  Ogni tanto continuo ad alzare lo sguardo al cielo, copro la frontale con una mano ed ammiro lo spettacolo. Wowww.

Scolliniamo ed iniziamo a scendere. Ci avevano messi in guardia sull’inversione termica, ovvero più caldo in quota e più freddo nelle valli. Previsione azzeccata. Mentre scendiamo, la sensazione di freddo aumenta costantemente. Le mani sono quelle che subiscono di più. Filippo si mette i guanti da sci, io doppio paio di quanti, ma le punte delle dita continuano a ghiacciarsi. Ogni tanto sono costretto a mettere le mani nelle tasche per trovare sollievo. Ci rendiamo conto di avere il Jolly con noi, ovvero quei due litri di Thè caldo che giacciono nella mia camel bag. A parte il mantenermi calda la schiena, ci consentirà di immettere roba calda nello stomaco, per tutto il resto del viaggio. A dire il vero per un tratto diventerà anche la mia unica fonte di approvvigionamento idrico visto e considerato che mi ghiaccerà l’acqua nella cannuccia delle borracce rendendole inutilizzabili fino al ristoro successivo. Così ho imparato a risoffiare l’acqua all’interno della borraccia dopo aver bevuto. E magari, per la prossima volta, a rivestire la cannuccia con isolante termico.

L’inizio del filo spinato indica che siamo arrivati al confine con la Croazia. Ora, badate bene, non stiamo parlando del comune filo spinato a cui siamo abituati. Questa è roba seria. Il filo madre ha un diametro di un paio di centimetri ed al posto degli spunzoni ci sono delle lamelle taglienti che non promettono assolutamente nulla di buono. Il tutto strutturato in una bobina alta circa un metro e mezzo da terra. Ecco, noi gli corriamo proprio accanto accanto, vicini vicini. Caderci dentro sarebbe da citrulli, ma...

Podgorje, Km 105, 17h10’. Il ristoro è una struttura un po' più arrabattata rispetto alle altre. Ci sono 5 o 6 lettini, un tavolino con le solite cose da mangiare, una stufetta e cianfrusaglie varie che lo fanno sembrare una rimessa di attrezzi riadattata per l’occasione. Magari lo è. Però è funzionale, quindi va bene così. Su un lettino ci sono due persone avvolte in altrettante coperte termiche. Stranamente sono amici di Filippo. Si sono ritirati, non stanno bene. Noi facciamo una sosta molto rapida, perché fuori fa veramente freddo e se ci ghiacciamo sarà più dura ripartire. Il tempo di risistemare il comparto idrico. Cominciamo a trovare acqua calda, ottima cosa. Rabbocco la camel con thè bollente e ripartiamo.

È uno dei momenti più freddi e più difficili di tutto il viaggio. Io sono equipaggiato nel modo seguente:

  • maglia smanicata attillata
  • maglia traspirante a maniche lunghe
  • maglia tecnica invernale a maniche lunghe
  • smanicato in pile
  • piumino smanicato
  • pantaloni da trail invernali
  • cappello di lana
  • mascherina in neoprene a coprire naso e bocca
  • doppio paio di guanti

...e non sto soffrendo il caldo.

Ci aspetta il tratto che temo D+. Per tre volte dobbiamo salire e scendere un dislivello di 400 D+ in pochi km. La bella notizia è che le gambe stanno benissimo, la caviglia è stata perfetta, mai nemmeno il minimo accenno di dolore. Da quando però siamo su terreno carsico, soprattutto nelle discese, vado molto prudente. Ho paura inconsciamente di girarmi la caviglia e rovinare tutto. Mi dispiace, in certi tratti, costringere Filippo ad avere un po' di pazienza per aspettarmi.

È notte, e la notte si sa, è fatta per dormire. Vedo Filippo che appoggia la testa ad un albero. Penso che non si senta bene e pongo la più scontata e banale delle domande “tutto bene? Ti senti male?” “no no, tutto a posto, ho sonno aspetta un minuto...”. Microsonno di due minuti e ripartiamo.

Ormai è da diversi Km che non troviamo più lo spray magico riflettente. Le fettucce con catarifrangente sono poche. Quelle bianche e rosse si vedono molto male. Durante la notte andremo fuori traccia almeno una decina di volte, forse anche di più. A volte per leggerezze nostre, ma altre per un balisaggio fallace. Sicuramente alcuni tratti sono stati sbalisati perché molte fettucce sono a terra. In alcuni tratti addirittura sono state spostate le balise: ci troviam più di una volta a dei bivi dove le fettucce sono sia a destra che a sinistra. Ovviamente dobbiamo andare per tentativi. Troviamo diversi concorrenti sul percorso andati fuori traccia. Questo ovviamente non è ascrivibile all’organizzazione, però se tutto il percorso, o almeno per la parte che dovevamo percorrere di notte, fosse stata segnata con lo spray magico, non ci sarebbero stati problemi. È vero anche che quando siamo in più di uno si tende ad essere meno attenti forse perché inconsciamente si pensa che un eventuale errore venga corretto dagli altri. Ma non sempre è così, anzi, spesso è vero il contrario. La stanchezza poi, riduce la lucidità. Queste non sono scusanti, ma semplicemente quello che è. Punto. Ed è frustrante ogni volta che si scopre di essere sulla strada sbagliata.

Nel corso di uno dei tanti smarrimenti, troviamo due compagni di viaggio con i quali condivideremo gran parte dei km rimasti, compreso uno dei lunghi più lunghi di tutti. Durante questo “lungo” si scaricano anche le batterie del mio Suunto. Nello zaino ho la powerbank ma siamo vicini al ristoro e decido di metterlo in carica una volta arrivati lì.

Dolina, Km 124 ma in realtà Km 130, 22h12’. Mentre arriviamo in paese vedo una fontanella e realizzo come quello sia il primo punto acqua naturale che incontriamo dall’inizio del viaggio. Arriviamo al ristoro. Questa volta siamo in un tendone militare, gestito da militari. Sui lettini c’è un ragazzo che se la dorme beato. I militari non sono molto loquaci. Collego il Suunto alla Power bank e lo riaccendo. Il ristoro è una fotocopia degli altri. Mangio pane e salsiccia. Ottima sul momento, meno quando riprendiamo a camminare. Filippo vorrebbe riempire la borraccia di thè, ma lo sforzo è vano. Il thè è finito. I militi si muovono per prepararlo nuovamente. Sui fornelli, hanno una teglia con almeno 10-15 litri di acqua bollente, ma loro riempiono il bollitore del thè con acqua fredda ed aspettano che si scaldi con la resistenza interna. Boh, avranno avuto i loro motivi...dopo 5 minuti l’acqua è appena tiepida, non possiamo aspettare. Io riempio le borracce con acqua calda e ripartiamo.

Adesso ci aspetta lo strappo più duro. Unica consolazione è la vista spettacolare di Trieste illuminata. Ormai la vediamo lì vicina, ed il pensiero che manchino “soltanto” poco più di 30Km all’arrivo mi regala in incauto ottimismo. Spesso tendo ad essere vittima del “semplificatore di situazioni” ovvero quell’insieme di pensieri eccessivamente ottimistici che poi portano a fare delle stime e valutazioni che risultano fallaci.

La salita è tosta, a tratti sembra di essere nel Vallone dell’Inferno in ascesa verso la Pania. Però la gamba sta ben e salgo senza grossi problemi. Scolliniamo, e qui vengono fuori i problemi. Dobbiamo scendere per circa due chilometri in un simil ravaneto piuttosto pendente con sentiero che scende a zig-zag. Solo e soltanto ciottoli. Tratto insidioso e non privo di pericoli. La mia caviglia sinistra bersaglia il mio inconscio con un loop di messaggi “fai attenzione-vai piano”. Scendo cauto. Circa a metà discesa, sopra di me, vedo un collega che sta annaspando fuori traccia. Cerco di guidarlo per riportarlo sulla diritta via, ma dopo un paio di minuti devo abbandonarlo al suo destino perché gli altri sono già molto avanti. Cerco di accelerare, nel limite del possibile, per rientrare un po'.

Finisce la discesa spacca piedi e ricomincia subito la salita. L'ultima. I riferimenti chilometrici della cartina altimetrica sono completamente saltati. Quanti km abbiamo percorso e soprattutto quanti ne manchino all’arrivo sono dati avvolti nel mistero.

Il morale inizia a risalire. “La notte sta finendo (paparapàpappà) e il freddo se ne va...” Cantano i Righeira.

Finalmente albeggia, il sentiero ritorna docile. Faccio colazione con qualche tigella in attesa del ristoro.

Qui soffro di una allucinazione bella e buona. Prendo il cellulare per controllare i messaggi. Sono convintissimo di aver letto un messaggio di Marcello dove mi scrive di essersi ritirato. Anche ora, mentre scrivo, ho in mente l’immagine di quel messaggio. Al termine della gara, scoprirò non solo che lui non si è ritirato, ma soprattutto che non ha mai scritto quel messaggio e che ovviamente quel messaggio non è presente sul mio telefono.

Facendo una media ponderata tra i computer del gruppetto, dovremmo essere intorno al km140. Mi lascio scappare una frase importante “se al ristoro mi dicono che siamo al Km 132 gli do una testata”.

Draga, Km132 ma in realtà Km140 circa, 24h41’. Piccolo tratto di salita su bitume e in mezzo ad alcune case troviamo il ristoro. Entriamo e io pongo subito la fatidica domanda “ma a quale chilometro siamo?” “132esimo” mi risponde un tizio con un tono che sa di scontato. Pratico brevemente l’Om e mi sforzo di non dare seguito all’intenzione pronunciata pochi minuti prima. “ma a noi risultano circa 140Km” ribatto io “sì, a tutti tornano più o meno 140Km. In realtà è più lunga. Dovrebbe essere 171Km”. Finalmente qualche notizia più veritiera. Primo ristoro dove troviamo il brodo caldo. Me ne faccio un bicchiere. Non ho molta fame, quindi mangio poco, riempio borracce e camel con il solito thè caldo e mi preparo per ripartire. Il peggio ormai è passato, ora dobbiamo soltanto macinare gli ultimi km...road to Sistiana!

Ripartiamo e pronti via sbagliamo nuovamente. #ettipareva.

I sentieri tornano ad essere larghi e corribili. Quindi torniamo a corricchiare nuovamente, anche se i muscoli delle gambe sono ancora induriti dal freddo della notte. Incontriamo qualche altro collega e gli apripista della gara media. Il mio stomaco decide che è arrivato il momento di scaricarsi. Avverto Filippo della mia sosta e vado a cercare il bagno nel bosco. La sosta è lunga, dura circa 5 minuti. Mi rimetto in viaggio e siccome il sentiero si fa correre, io lo corro. Forse esagero. Nel giro di 2-3Km ritrovo Filippo, ma allo stesso tempo salta fuori un dolorino al ginocchio sinistro. Rallento nuovamente il ritmo ed il fastidio sparisce. Ma sarà un campanello di allarme.

Intanto i sentieri iniziano ad essere popolati di compagni di viaggio, fotografi, camminatori autodidatti, crocerossini e crocerossine. Questo netto contrasto con i 140Km abbondanti precedenti, ci fa saltare agli occhi ed alla mente come lungo tutto il percorso, almeno fino a lì, non avessimo trovato un solo volontario che fosse uno, dell’organizzazione. Eppure, abbiamo affrontato anche diversi tratti pericolosi.

Ma adesso siamo sul bellissimo sentiero che sovrasta Trieste, la mattinata è fantastica. Ci accoglie un bellissimo sole che illumina e fa risplende la città ed il suo mare in tutta la loro bellezza. La voglia di fermarsi ad ammirare e godere quel panorama meraviglioso è tantissima, ma il nostro cervello è programmato per una cosa sola...arrivare al traguardo.

Il sole ci riscalda e la muscolatura torna più reattiva. Tra una chiacchiera e l’altra riprendiamo una dinamica di corsa accettabile. Ad un certo punto, non so a quale chilometro ed in quale punto, ma in prossimità di una curva in un tratto leggermente boschivo, spunto lui! In tutta la sua bellezza, ops...bruttezza...il Pietro Leoncini in carne ed ossa. È sorridente e sereno e questo mi rincuora subito. Mi saluta, mi incita e fa un breve filmato. Scambiamo due parole, gli chiedo i motivi del suo ritiro e gli dico del messaggio di Marcello. Lui non sa niente, si informerà. Ci saluta, per il momento...già perché dopo pochi chilometri rieccolo lì puntuale a correggere un nostro ennesimo errore di percorso.

Obelisco, 145Km, 27h27’. Siamo entrati sul percorso della 57Km e si vede. Il ristoro è tutt’altra cosa. Ci sbivacchiamo sulle seggiole e mangiamo pane con prosciutto caldo. C’è pure il salmone. Arriva il primo concorrente della 57Km...non faccio in tempo ad azzannare il mio panino che lui è già ripartito...ma ‘ndo va? Manco fosse una gara. Facciamo una sosta di dieci minuti, godendoci il ristoro e ripartiamo.

Oramai il traguardo delle 30h rimane una chimera, anche alla luce del fatto che i km saranno assai di più di 167.

Imbocchiamo un sentiero vista mare tra Trieste città e il Castello di Miramare, che per un lungo tratto sarà in single track. Ci sfilano i concorrenti della 57Km...il secondo, il terzo, il quarto... Ci dobbiamo fermare per farli passare perché in due proprio non si passa. Salutano e ringraziano tutti. Saluta e ringrazia pure la ragazza che sarà prima tra le donne in quella distanza. Facile ricordarla visto che corre con un top estivo e dei pantaloncini arancioni poco più grandi del perizoma nero che vorrebbero mascherare. Poi però arrivano anche il decimo e l’undicesimo e piano piano anche quelli dietro. È più il tempo che siamo fermi per far passare loro, rispetto a quello in cui riusciamo a correre. La cosa diventa fastidiosa perché comunque noi siamo stanchi, vogliamo arrivare al traguardo ed in questo momento avremmo bisogno di concentrazione per mantenere un passo costante e gestire le ultime energie. Invece siamo costretti a fermarci e ripartire continuamente. Fatto salvo il tempo che perdiamo, che non è poco, la cosa peggiore è che ci innervosiamo. La situazione peggiora ulteriormente quando ai concorrenti della 57Km si aggiungono anche quelli della 21Km. Adesso è veramente un caos. A mano a mano che arrivano le persone dalle retrovie, diminuisce la cortesia e aumenta il chiacchiericcio, e con lui il mio disagio. Mi piace però ricordare un ragazzo con la maglia verde che, dopo avermi fatto i complimenti ed avermi chiesto su quale distanza stessi gareggiando, appena apprende che corro per la Ultra, mi fa una carezza sulla testa come gesto di stima. Grazie, ce ne fossero di persone così...

Arriviamo in un punto dove dobbiamo scendere con cautela alcune rocce. Ci sono 3 volontari ad aiutare i concorrenti e ad invitarci a fare attenzione. La stanchezza ed il nervosismo mi fanno scappare un “stanotte ci hanno fatto passare in posti ben più pericolosi, ma non c’era nessuno”. Ovviamente non volevo offendere i volontari, ma in quel momento mi giravano abbastanza. Chiedo scusa, perché anche a loro va tutta la mia stima.

Finalmente il sentiero inizia ad allargarsi e riesco a tenere il mio passo con regolarità. Non sapendo quanti km ho corso con il Suunto scarico, non posso sapere di preciso quanti Km ho corso fino a quel momento. Anche a Filippo si è scaricato il cellulare che utilizzava come GPS. Andiamo avanti a stime. Ormai abbiamo fatto la bocca a dover fare dai 172Km ai 175Km. Abbiamo passato il Castello di Miramare e poco più avanti c’è Sistiana. “Prima o poi dovremo scendere...” penso. In effetti iniziamo un tratto in discesa ed io prontamente mi illudo. Duecento metri circa e il sentiero fa un angolo a 180 gradi, per tornare in direzione Castello di Miramare e peggio ancora, ricomincia a salire. Mi sento come un pesce in una rete. Non ho più nemmeno voglia di arrabbiarmi. Vado avanti per inerzia. Non sono stanco, però ho voglia di arrivare alla fine. Raggiungiamo l’ennesima vetta contrassegnata dalle solite ed immancabili antenne. Riprendiamo a scendere in direzione Sistiana.

Siamo vicini all’ultimo ristoro. Stiamo bene e vogliamo cercare di stare almeno nelle 31h. Filippo mi propone di saltare l’ultimo ristoro. Io approvo ma gli chiedo la cortesia di aspettarmi per un minuto perché devo mettermi la maglia che mi ha disegnato e regalato per il mio compleanno, Andrea, mio figlio più grande. Tagliare il traguardo con quella maglia, è uno dei motivi per cui voglio arrivare alla fine in tutti i modi. Ci fermiamo in un punto al solicchio. Mi tolgo il pile ed il piumino anche perché adesso comincia a fare veramente caldo e mi metto la maglia di Andrea. Ripartiamo.

Santa Croce, 155Km sulla mappa, 30h. Ultimo ristoro, e che ristoro! Il migliore in assoluto. Non lo saltiamo per nessuna ragione al mondo! Di tutte le meraviglie che si stendono davanti a noi, ricordo con particolare affetto la Birra artigianale con cui mi faccio riempire una borraccia e che mi sorseggerò nell’ultimo stint. Ecco, questi sì sono i ristori di cui avevo letto.

Ripartiamo e dopo poco incomincio ad avvertire un discreto dolore al ginocchio ed al muscolo tibiale della gamba sinistra. Mi viene in mente il consiglio di Claudio e prendo al volo un antidolorifico blando. Effetto placebo? Può darsi, ma la cosa per me importante è che il dolore si riduce immediatamente e mi consente di proseguire a correre.

Finalmente inizia la discesa verso Sistiana. Il cervello mi passa una nuova dose di entusiasmo ed energia.

Comincio a guardare l’altimetro sul GPS perché so che adesso dobbiamo scendere fino alla spiaggia e quindi raggiungere quota 0m s.l.m.. Trovo un volontario che mi ispira fiducia, a cui chiedo quanti Km manchino all’arrivo. Mi aspetto una cosa tipo 2 o 3. La risposta è 7! La prossima volta prima di chiedere, mi cospargerò di vasellina, magari sentirò meno dolore. Una mazzata. A posteriori, oltretutto, posso aggiungere che sarà la prima indicazione corretta. Per fortuna che il paesaggio aiuta a far scorrere rapidamente i Km.

L’altimetro segna 8m. Attraversiamo una strada, scavalchiamo un parapetto e scendiamo un tratto di sentiero piuttosto infido aiutandoci con diversi metri di corda. Siamo molti, c’è traffico. Si sente il rumore del mare che infrange sulle pietre. Respiro l’aria salmastra e realizzo che ormai manca veramente poco. Arriviamo a quota 0m s.l.m.. Siamo sulla spiaggia di ghiaia. Sembra una giornata primaverile ed è dura non fermarsi lì a godere di quello spettacolo. La pensa diversamente il nudista che se ne sta sdraiato sulla spiaggia, con i suoi gioielli alla mercé di tutti i runners.

Si fa un po’ fatica a deambulare su questo fondo. Dietro di me ci sono due signore slovene che hanno parecchia voglia di chiacchierare. Troppa per me. Mi fermo e le lascio passare perché non sopporto più quel chiacchiericcio.

Rientriamo brevemente su un tratto di sentiero e poi finalmente la terra ferma, il bitume, Sistiana!!!

Gente comune a passeggio che ci guarda stranita. Li capisco.

Incredibile botta di energia...meraviglie del cervello! La strada sale, devo fare circa 130D+ da lì fino al traguardo. Inizio a correre, le gambe seguono alla grande, anzi hanno proprio voglia, anzi chiedono quasi di spingere. Rimango stupito. Penso al Bussino e ringrazio. “Che macchina meravigliosa è l’uomo” penso. Riprendo e sorpasso concorrenti della 57Km e della 21Km. Boh, con 170Km nelle gambe da dove arrivi questa energia proprio non lo so. Fa caldo, sto sudando parecchio, ma non mi interessa. Bevo ancora un po’ di thè e continuo. Dobbiamo attraversare una strada. Altro volontario che ispira fiducia. Solita domanda. La risposta questa volta non necessita di vasellina...”un km e mezzo”. È tutto in salita, ma a questo punto mi potrebbero far passare anche dentro un autolavaggio (...che poi, male non mi farebbe!), non mi fermo più. Attraversiamo un'altra strada e come volontario incontro il proprietario dell’albergo dove avevamo dormito. Ci salutiamo. Salgo. Finalmente riconosco la strada, adesso è tutto noto. Mancano poche centinaia di metri. Ci sono un sacco di persone che mi applaudono e mi incitano. È veramente bellissimo, un’emozione e una soddisfazione che non si possono raccontare. Al primo tentativo riesco a portare a termine la mia prima 100 miglia. Mi emoziono un po'. La strada spiana, sono fuori dal campo sportivo dove mi aspetta il gonfiabile sotto il quale tutto avrà il suo compimento. Aumento ancora il passo e sto attaccato ad un concorrente della 57Km. Provo piacere in questo, lo ammetto. Entriamo nel campo sportivo, c’è un lungo Red Carpet che ci accoglie fino all’arrivo. Accelero ancora e capelli al vento me lo godo tutto, passo dopo passo. Vedo Pietro sulla destra. Gli speaker mi danno il cinque. Un po' frastornato taglio il traguardo in 31h56’10’’.

Una ragazza mi mette al collo 2Kg di medaglia. Barcollo. È una bellissima medaglia. Sono orgoglioso.

Cerco Filippo con lo sguardo, ma non lo vedo. Arriva invece Pietro che si complimenta e mi fa un video a caldo da cui traspare un velo di stanchezza e una lucidità da rivedere. Gli chiedo notizie di Marcello, mi dice che ha avuto un momento di difficoltà ma che la finirà. Arriverà tra 3 o 4 ore.

Mentre Pietro va a prendermi la borsa, mi faccio alcuni selfie sotto il traguardo, ma adesso sono frastornato. Mangio alcuni biscotti, aggiorno i miei numerosi fans con alcuni messaggi vocali e barcollo verso gli spogliatoi. Mi faccio una doccia piuttosto tiepidina. Mi bevo un XS al limone piuttosto freddino. Eccoci...sta per partire la congestione, la sento. Mi metto a sedere e mi rannicchio nel mio accappatoio cercando di scaldare la pancia. Qualche compagno di fatica si sincera delle mie condizioni. Piano piano passa. Mi vesto il più possibile e raggiungo Pietro per andare a mangiare.

Incontro anche uno dei ragazzi con cui avevo condiviso gran parte degli ultimi 30-40Km e gli chiedo quanti km totali gli fossero venuti. Da un occhio al GPS “174 Km”. Li confronto con i miei dati e torna tutto. Io e Filippo, considerando le allunghe per padelle, abbiamo percorso circa 176Km. Non male.

Ora comincio a deambulare a fatica. Barcollo mentre salgo degli scalini, ma non mollo...Mangiamo pasta al pomodoro, salsicce e patatine fritte. Ovviamente annaffiamo con birra. Parlo con dei ragazzi che sono al nostro tavolo. Pietro mi fa notare come, da quando sono arrivato non mi sia ancora zittito. Gli credete?

Il crollo è imminente...ad ogni secondo che passa, il peso specifico della palpebra aumenta sempre D+. Il freddo che si era rintanato nelle ossa fa come Dracula...con il calare del sole, viene fuori.

Pietro mi invita ad andare a dormire in palestra. Accetto l’invito. Entro in palestra, mi addormento e poi mi sdraio, proprio in questa sequenza. Peccato che dopo nemmeno mezz’ora mi debbano far uscire per chiudere la palestra. Ho freddo e sonno. Pietro mi suggerisce di andare a dormire in macchina. Non oppongo resistenza. Accendo la macchina ed il riscaldamento. Mi addormento.

Mi svegliano Pietro e Marcello. Mi scuso per non averlo aspettato al traguardo, ma non ero proprio nelle condizioni. Ovviamente capisce. Gli chiedo del famoso messaggio che avevo letto, ma di cui io non ho traccia sul cellulare. Lui conferma di non avermi mandato nessun messaggio. Perfetto.

Decidiamo di andare a mangiare una pizza prima di rimetterci in viaggio. Torniamo alla solita pizzeria, ordiniamo. Iniziamo a mangiare, ma né io né Marcello abbiamo lo stomaco ricettivo. Ci facciamo incartare la pizza che non riusciamo a mangiare e ripartiamo.

Guiderà Pietro per tutto il viaggio di ritorno. Io faccio a mala pena in tempo a dirgli che qualora avesse voluto il cambio alla guida avrei potuto darglielo, perché tanto non mi sarei addormen... Ronnffff.... ronnnfff...siamo già a Pisa? Però, com’è passato veloce il viaggio! 

Finisce qua la nostra avventura. Come spesso succede, durante la gara prendono il sopravvento le sensazioni negative. Per dare un giudizio più obiettivo dobbiamo lasciare decantare le emozioni per qualche giorno. Sicuramente ci sono degli aspetti organizzativi che nella 100 miglia devo essere migliorati, ma bisogna anche essere onesti e riconoscere che essendo stata la prima edizione organizzata in versione “Ultra”, cioè balisata e con i ristori, lo sforzo fatto dagli organizzatori è stato enorme. Il percorso è bellissimo, se lo si prende per quello che è. Correre sul Carso non può essere paragonato ad una corsa in ambiente Dolomitico. Si devono cercare bellezze e valori differenti. Io ho trovato nella Corsa della Bora esattamente quello che cercavo e quindi non posso che fare i miei complimenti sia gli organizzatori che ai volontari ringraziandoli tutti per gli sforzi fatti.

Ringrazio il mio coach Alberto, perché se al km170 avevo ancora la forza di correre in salita è anche merito suo. Ringrazio Claudio per avermi messo nelle condizioni di affrontare questa gara senza alcun problema fisico. La caviglia è stata perfetta, non ho mai avuto nessun accenno di crampo. Alla fine della gara nemmeno una galla o vescica sotto ai piedi.

Ringrazio di cuore e mi complimento con Pietro e Marcello per avermi accompagnato in questa avventura. Mi dispiace tantissimo che Pietro non abbia potuto finire il suo viaggio a causa di un problema al ginocchio, questo gli ha fatto perdere la sua scommessa iniziale, e quindi non potrà appendere le scarpe al chiodo, mi dispiace Bro. Ma il suo sorriso, che lo ha sempre accompagnato per tutta questa avventura, e la sua disponibilità a “coccolarci” nel post-gara, non hanno valore. Grazie. Enorme stima per Marcello che ha sofferto, tanto, dando prova per l’ennesima volta della grande persona e del grande atleta che è. Ha concluso questo viaggio per se stesso, ma anche per aiutare altre persone. Un grandissimo esempio! Stima, stima e ancora stima.

Ringrazio Filippo, per la sua amicizia, per la sua compagnia, per quello che mi ha insegnato durante questo bellissimo viaggio. Ci sono tante cose che possono essere scritte, ma forse quelle più belle sono quelle che rimangono dentro di noi e non possono essere trasformate in parole. Grazie ancora!

E un grazie alla mia famiglia, perché c’è sempre e mi incoraggia. E non è scontato. Volevo finire questa gara anche per tagliare il traguardo con la maglia che mi aveva fatto Andrea. L’ho avuta sempre nello zaino con me, per tutto il viaggio. L’ho indossata negli ultimi km. Adesso posso dirlo, anche con un po' di orgoglio: ce l’ho fatta!

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Corsa della Bora 164 km 2019 di Pietro Leoncini

Volevo prenderci la “ghignata” e l’ho presa bella e senza rammarico. La Corsa della Bora a Trieste mi è stata proposta l’anno scorso da Gabriele, ma siccome odio il freddo e correre di notte, ho rifiutato di accompagnarlo, ma quest’anno non sono riuscito a digli di no. Si unisce alla “coppia di disadattati” anche Marcello, grande runner e scalatore, finisher del TOR(330km e 24.000 D+) e della PTL (300 km e 28.000 D+ in autonomia quasi totale), nonché persona deliziosa. Partiamo da Pisa venerdì mattina con calma. In viaggio parliamo di gare, allenamenti, volo libero, cene “zatteroniche”. 

Arriviamo a destinazione all’ora di pranzo. Troviamo il nostro albergo e andiamo subito a mangiare una pizza lì vicino. Nel pomeriggio ci rechiamo al ritiro pettorali al Bora Village. Ci danno la sacca da caricare con la nostra roba per la base vita del km 85.  Veloce visita al Castello Miramare di Trieste, e risiamo in albergo a riposarci un po'. La sera di nuovo in pizzeria e poi a nanna, la partenza è prevista per le 7 di sabato 5 gennaio. 

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Ci svegliamo verso le 5:15/5:30. Colazione veloce e abbondante e poi ci prepariamo per la gara. La tensione si inizia a sentire, calano le chiacchiere. Parcheggiamo la macchina all’interno della struttura e in pochi metri siamo sulla linea di partenza. 

Alle 7 in punto il via. Ultimamente ho corso poco e male, e so benissimo che non sono pronto. Quindi mi lascio sfilare da tutti e mi ritrovo dopo pochi km con la scopa. Parlottiamo un poco ma non sono in vena di chiacchiere. Ci separiamo dopo poco in quanto riesco a superare un concorrente. Corriamo lungo la costa, direzione Monfalcone, per 4/5 km. Siamo alle prime luci dell’alba e i colori e il paesaggio sono incantevoli. Attraversiamo la statale e iniziamo a salire le montagne inoltrandoci nel bosco triestino. Il sentiero si alterna tra carrarecce e single truck rocciosi. Mi diverto. La direzione ora è verso la Slovenia. Il tracciato è molto corribile e in testa mi sono fissato di fare almeno i primi 63 km con la luce del sole. 

Corro nei tratti in piano e discesa, cammino in salita, cercando di risparmiare energie utili per la notte. Mangio e bevo la roba che mi sono portato da casa. Ho con me: la torta di riso e formaggio che la mia nonna mi ha insegnato a fare. Di mio ho aggiunto un po' di maltodestrine in polvere alla ricetta originale panini con prosciutto e formaggio parmigiano a cubetti snickers in quantità industriali 2 bibite energetiche al miele stile red bull e varie barrette e gel insomma l’ultimo dei miei problemi sono le crisi di fame. Arrivo al primo ristoro al km 20 in circa due ore e mezzo. Decido di riempire solo le borracce e continuare a mangiare il cibo che mi sono portato. Mi alleggerisco e sono più soddisfatto. Spingo ancora forte ed inizio ad usare i bastoncini per aiutarmi nelle salite, anche se brevi iniziamo a farsi sentire sulle gambe. Al km 35 accuso un dolore leggero e costante alla coscia alta e senza rendermene conto modifico la mia corsa. Al secondo ristoro al km 39 ho un dolore al ginocchio quando corro. Penso già ad un eventuale ritiro. All’improvviso mi viene in mente mio zio Ezio recentemente scomparso. 

Sono praticamente cresciuto con lui. Durante il periodo estivo, da giugno a fine agosto quando la scuola era chiusa, lavoravamo assieme i campi intorno a casa sua. Mi ha insegnato a guidare i trattori agricoli. Ma soprattutto abbiamo sudato tanto assieme, e con lui ho appreso l’”arte della fatica” per ottenere qualcosa. Sarebbe bellissimo dedicargli l’arrivo di questi 167 km. Con questo pensiero e con i lucciconi agli occhi, proseguo la gara. I ricordi mi distolgono dal dolore. Vengo raggiunto da diversi concorrenti. 

Non ho voglia di parlare con nessuno. Ho in miei pensieri in testa e anche se sofferente mi sto divertendo. Il ginocchio mi permette di correre qualche centinaio di metri, e cosi alterno corsa a camminata veloce. Arrivano i primi bui e la temperatura scende parecchio. All’improvviso una storta fortissima ad una caviglia, e per non cascare faccio un movimento strano. Il dolore al ginocchio aumenta. Metto la frontale, ma ormai il danno è fatto. Non riesco a correre se non per pochi metri poi il dolore diventa insopportabile. Raggiungo il terzo ristoro al km 64. Da qui la gara diventa meno corribile. Potrei provare a farla tutta camminando. Rimane il problema del freddo. Le previsioni danno -7 gradi e se cammini e basta diventa difficile sopportare tali temperature. 

Non ho l’abbigliamento adatto e rischierei solo di fare del male a me e agli eventuali soccorritori. Decido il ritiro. L’organizzazione manda un mezzo per il recupero mio e di altri 5 concorrenti che si sono ritirati. Arrivati in palestra mi ripulisco. Prendo la macchina e provo a cercare una camera per la notte, ma trovo tutto occupato o chiuso. Mi consolo con una pizza ai quattro formaggi e due belle birrozze. Mi tocca dormire in macchina o in palestra. Passo praticamente la notte in bianco. Pazienza Gabriele e Marcello se la passeranno peggio di me sicuro. La mattina successiva per passare un po' il tempo deciso di recarmi ad uno dei ristori dove passerà la gara. Trovo Gabriele in ottima forma e con il morale altissimo. E’ al km 130 e corre ancora, una vera bestia. Marcello lo sento per telefono, è in crisi, ma concluderà la gara lo stesso. Gabriele arriva alle 15 e Marcello alle 18. Il tempo di una doccia, che siamo di nuovo in pizzeria a mangiare qualcosa prima del viaggio di rientro. Arriviamo a Pisa alle una di notte. E’ stato un grosso azzardo iscriversi a questo tipo di gara. Troppo freddo e buio per i miei gusti. Ho voluto provare fare una gara senza alcuna preparazione e poco allenamento. E ho preso una bella “ghignata”. Ma va bene così, la lezione l’ho imparata……..forse. Alla prossima. Ciao Zio Ezio.


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Ultra Trail du Mont Blanc, per insomniam ad somnium! di Stefano Bosetti

Parte prima - Da Brescia a la Balme: insonnia, batticuore e un presagio sorprendente

Giovedì 30 alle 15.20 sono in strada verso Aosta, viaggio scorrevole con qualche inevitabile rallentamento nell’attraversare Milano, a un tratto quasi mi commuovo nel vedere la Serra di Ivrea, terra di conquista degli ultimi punti di qualifica, stagliarsi a sinistra e a destra dell’autostrada con in alto a destra il paesino di Andrate, da cui avevo osservato una delle più belle albe in assoluto 😎, il mix della vista con il brano del DJ turco Burak Yeter “Another World” è qualcosa di magico e lo rimetto su un bel po’ di volte, sarà un po’ la colonna sonora di tutta la tre giorni e lo usero’ anche per un breve video in Val Veny e come doping musicale en plein air.

https://www.youtube.com/watch?v=-DrS4coGls4

 

18.10 sono già all’alberghetto, per cena non ho nessuna voglia di prendere l’auto e di stare troppo in giro per cui ripiego su una famosa catena di pizzerie lì a pochi metri, mai provata tra l’altro, che poco o punto c’entra con la valle…ma le linguine allo scoglio e la

pizza mi lasciano proprio soddisfatto e rientro in camera alle 21, pronto a sorbirmi quello che dovrebbe essere un buon sonnifero e cioè una fiaschetta che fu di una celeberrima grappa di Bassano, riempita nuovamente alla bisogna dell’ottimo liquore Tagliatella del medesimo produttore.

TUM   💓 TUM 💓  TUM  💓  TUM…

Ne faccio fuori subito quasi metà ma, incurante del pur sensibile torpore indotto dalla bevanda, il cuore procede imperterrito nella sua marcia accelerata a 60 bpm che di protrae più o meno dall’1 di notte dello stesso giovedì…i quarti d’ora passano in fretta e per di più la stanza è ancora parecchio calda, per cui alle 22.30 decido di provare a stancarmi facendo in anticipo il lavoretto di divisione definitiva tra la borsa che resterà in auto, quella per la base vita, quella extra da lasciare alla palestra e lo zaino gara.

Niente da fare, proseguo l’assunzione del superalcoolico ma il cuore non demorde, alla mezzanotte la fiaschetta è vuota e provo addirittura una curiosa procedura di addormentamento che prevede di appoggiare la lingua dietro gli incisivi, espirare a bocca aperta, inspirare etc…🙄 …mah!

Purtroppo arrivano le 6.30, orario che avevo impostato sui due cellulari per la sveglia, allora decido di darmi una mossa e mi lavo, poi scendo a far colazione, senza pero’ esagerare come faccio di solito quando sono in vacanza…

Come estremo tentativo risalgo in stanza lasciando detto alla gerente di bussare alla mia camera alle 8.30 nel caso dovessi addormentarmi, pero’ anche questo ultimo tentativo è vano.

Alla stazione parcheggio l’auto e salgo agli stalli degli autobus, noto immediatamente due colleghi d’avventura, Corrado che scopro essere amico di due delle Bestie Barbute che conosco e Cristina già finisher una volta, che avendo già ritirato il pettorale mi farà da preziosa guida verso i punti topici dell’organizzazione.

Anche nel viaggio verso Courmayeur nonché nel tratto verso Chamonix con un altro mezzo niente da fare per il sonno…il tragitto verso il controllo materiali e deposito borse è abbastanza lungo, e l’aria freschetta non lascia presagire nulla di buono per quelle che saranno le condizioni alla partenza.

Attraverso il vascone fitto di negozi, bar, concorrenti e turisti un po’ stranito, invidiando quelli che se la stanno spassando seduti a un tavolo che evidentemente hanno avuto più possibilità di riposarsi.

Per il controllo materiali dovro’ aspettare 50’ durante i quali mi metto sul retro degli stand dell’atrio, dove ci sono alcune brandine e coperte; anche qui non riesco a combinare nulla 😥.

Controllo materiali random che costringe a disfare tutto lo zaino, a metà dello stesso mi accorgo drammaticamente di non avere più ai fianchi il marsupio extra con frontali/batterie/barrette, ovviamente vado subito in fibrillazione ma un solerte volontario mi rassicura da lontano, chiedendomi se è mio quell’affare che è appena finito al reparto oggetti smarriti!

Foto di rito ad uno dei tabelloni e mi reco al deposito borse, anche qui c’è da aspettare, per di più in piedi all’aperto una mezz’oretta, le pratiche sono veloci e la mia borsa extra viene accettata con grande disponibilità.

A questo punto smangiucchio ancora qualche barretta e mi reco di nuovo nell’area brandine, cercando di coprirmi gli occhi con berretto e coperte, ogni tanto esco per controllare il meteo, alla fine per sfogarmi della tensione faccio due parole anche con Moira Guerini forte trailer conterranea…

16.30 è ora di avviarsi verso la piazza, all’ultimo scelgo di coprirmi con Tshirt, Pile non troppo tecnico del Deca e il Kway da 4 € che dovrebbe essere il muletto del guscio costoso, e che invece terro’ addosso quasi tutta la gara.

In Place du Triangle de l’Amitié ritrovo Corrado e facciamo due parole e due selfie su fb,

FB_IMG_1536159681218poi si avvicina la partenza e finalmente vedo sui maxischermi i big, ascoltando per la prima volta dal vivo il mitico Silvano Gadin; prevedibilmente struggente il countdown con una versione leggermente rock con chitarrista dal vivo della classica “Conquest of Paradise”, si parte con i primi trecento metri ammassati, poi si riesce ad iniziare a correre, il cardio dà subito brutti segnali, sui 145 per un ritmo sui 6’, ed inizio a sentirmi molto caldo, probabilmente ho esagerato a coprirmi…a Les Houches mi fermo e tolgo il kway visto che la pioggia è quasi a zero, ma i battiti restano alti…in salita verso Le Delevret muscoli ok ma cuore a mille (155-160)…che succede???? Probabilmente lo stress da mancato sonno sta presentando il conto, io dovrei adeguarmi abbassando il ritmo ma in realtà non posso permettermelo, in questa prima parte da trail collinare fino a la Balme c’è da metter via minuti sui cancelli per cui insisto col fiatone, la salita è bella tosta e in cima, dove c’è qualche ondulazione prima di scendere, come se non bastasse si manifesta un bell’imbarazzo intestinale che mi rende scomodo correre…per fortuna di lì a poco l’oscurità mi permette di alleggerire il disagio senza staccarmi troppo dal sentiero, la discesa verso San Gervais è misto prato, terra e sassi, c’è da stare attenti col fango ma miracolosamente faccio solo due innocue scivolate, dopo la seconda mi controllo il kway e scopro che nel rimettermelo lo avevo indossato alla rovescia 😂, pero’ non perdo tempo a rivoltarlo visto che comunque fa il suo lavoro anche così (lo togliero’ e girero’ solo a Courma).

A San Gervais arrivo in 3h20’ quindi con 40’ sul cancello, non male, mi fermo solo per un bel bicchierone di acqua, proseguo per il tosto mangia e bevi per Les Contamines, sento sempre un grande affanno e sudo copiosamente, so che non potrà durare ancora a lungo con questo impegno ma non ho scelta e tengo duro, al passaggio conservo 41’ e nell’uscire dal paese accade una cosa veramente curiosa, una tipa mi viene incontro e mi parla in inglese, io le racconto del disagio dovuto probabilmente all’insonnia, lei mi consola dicendo più o meno che ho comunque una bella cera, che ce la faro’ e che mi attende al traguardo (!!!)

Il tratto per la Balme inizia con un leggero falsopiano, io per prudenza innesto un bel fitwalking per abbassare il regime, 3 km e pero' attacca la bella salita che culminerà verso l'inizio del tratto di montagna vera...sono un po' pessimista e al ristoro confido nelle provate virtu' del brodino, questa volta in versione francese con dei curiosi spaghettini scotti.

Parte seconda - Spaghetti scotti, Buon Natale!, si schiaccia un pisolino

Al rifugio la Balme cerco di mettermi un po’ calmo, e di ingerire qualcosa di caldo, si profila la prima incursione in alta montagna del giro e quindi è essenziale partire con buon confort, per la prima volta assaggio la mitica pasta corta stracotta in minestra alla francese, due bicchieri, insieme ad un po’ di coca e due barrette, il primo tratto verso i 2000 m è relativamente facile e la fila ancora bella fitta dà grande sicurezza, nel contempo inizio ad avvertire che il cuore si sta “calmando”, non più 150 ma 130-135 con un passo che mi permette talvolta di sorpassare qualcuno, buon segno, anche il fiatone da over 2000 si rivela abbastanza modesto, e in ogni caso molto più gestibile del cuore in gola delle prime 7 ore! 2100…2200…ancora pioggerella fastidiosa ma si marcia lenti come formichine, le rocce iniziano a farsi discretamente tecniche, qualche volta è necessario mettere giù le mani, un paio di volte per prudenza mi fermo qualche secondo a fiatare, alla fine pure il Bonhomme se ne va senza troppi patemi, e la discesa su Chapieux sancirà il primo verdetto di giornata: VALE LA PENA PROSEGUIRE O NO, CON TUTTE LE INCOGNITE LEGATE ALL’INSONNIA 🤔?

Nella discesa l’attenzione alle difficoltà del percorso, un misto abbastanza tosto di sassi, terra pressata e anche qualche canalino scavato con relativo grosso rischio per l ecaviglie, il tutto reso bello scivoloso dalle piogge, contribuisce a farmi dimenticare gli affanni passati e futuri, noto inoltre che riesco più o meno a bilanciare sorpassi fatti e subiti, e alla fine passo a Chapieux ancora con un discreto vantaggio (45’ in entrata e 30’ in uscita) affrontando quindi il tratto più lungo senza ristori con una certa serenità.

Il primo tratto è in asfalto e cerco di fare un buon ritmo sbacchettando, poi si passa su sentiero e man mano perdo vigore, quando la strada si impenna e vedo il serpentone di frontali 3-400 m più in alto mi lascio un po’ prendere dallo sconforto, come se non bastasse becco anche una bella pozza di fango profonda mezzo metro col sinistro, per fortuna il mesh abbastanza denso delle scarpe riesce a non far penetrare il bagnato. Le soste per riprendere fiato si infittiscono, e perdo parecchie posizioni, a un tratto mi sembra di vedere Corrado fermo a lato, lo ritrovero’ più avanti perché nel frattempo, malgrado i problemi di stomaco, avrà la forza di raggiungermi prima del culmine.

Un errore poi di comprensione dei cancelli mi fa inoltre preoccupare, mi sembra di ricordare che il Lac Combal è alle 15 ore, se va avanti così sarà difficile sfangarla, poi pero’ mi fermo e tolgo da un taschino un foglietto scritto a mano, è bello zuppo ma si legge ancora : Lac Combal 16 ore (!!!)…la prospettiva cambia alquanto, anche perché il taglio delle Pyramides Calcaires non è posa cosa.

E così, pur nella nuvola molto umida che diventa poco a poco neve minuscola e radissima, mi avvicino al Col della Seigne con rinnovata fiducia, accogliendo con un “Bon Noel a tout le monde 🎅” i due simpatici uomini del Soccorso proprio alla frontiera virtuale tra Italia e Francia, dove mi faccio fotografare proprio accanto al cippo.

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La discesa, fortunatamente tagliata del tratto delle Pyramides Calcaires esattamente come lo scorso anno, è più facile rispetto a quella del Bonhomme e non solo perché ormai è giorno fatto, si riesce a trottare mica male e il cielo che si apre moltiplica le energie, ne approfitto per un paio di foto e per ascoltare qualche canzone en plein air dal cellulare (ancora Burak Yeter, adattassimo ad un fitwalking pompato dai bastoncini, e poi Corrado Rossi).

Sulla sinistra si stagliano i ghiacciai del Bianco e a poco a poco si avvicinano il Rifugio Elisabetta, ancora chiuso, e il Lac Combal con la stradina ormai facile e in leggerissima

discesa…è in questo punto che finalmente chiamo mia moglie e le dico serenamente che la decisione di un eventuale ritiro “da esaurimento” ad Arnouvaz è rimandata alla ripartenza da Courmayeur, il tempo che ho passato “elaborando” l’idea stessa del ritiro mi ha fatto capire che il nostro corpo e la nostra mente al momento giusto sanno tirare fuori energie inaspettate 😎 .

E la mocetta del ristoro dà anch’essa una bella carica, inducendomi ad un bel post su fb pieno di speranza anche per il buon vantaggio sul cancello (1h26’).

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Ritrovo ancora Corrado e faccio con lui anche tutta l’ascesa all’Arrete du Mont Favre, dove esito un po’ ma alla fine scollino ancora ben carico per il tratto verso il ristoro di Col Checrouit, dove ci attende un’inaspettata pasta al ragù! Decido di fermarmi lì a mangiare a sufficienza, riservando la sosta a Courmayeur esclusivamente al cambio abiti e al tentativo di dormire, che dovrebbe in teoria, se con esito positivo, rappresentare la svolta decisiva.

Ultimo ostacolo verso la base vita il rognosissimo sentiero a zig-zag nel bosco, pendenze da capre e terra polverosissima, sembra che non piova da mesi lì, mi metto a pensare come possano affrontarlo i big a tutta senza rischiare seri infortuni alla caviglia!

Un volontario alle soglie del palazzetto (ore 11.37, vantaggio di 1h38’) urla il mio numero ad un altro che sfila dalla rastrelliera la mia borsa, io passo ringraziando e la agguanto, chiedendo subito all’interno dove sia possibile cercare di dormire, indi arrivo dietro un tendone dove ci sono materassi da palestra e ne becco uno, mi svesto, cambio la maglietta, tolgo le scarpe e sfilo per sempre il cardio (media globale 129), mangiucchio una barretta e quindi mi dedico al rito della speranza, sono le 11.43 sul mio Nokia Asha 302, riesumato per l’occasione per l’autonomia ben maggiore rispetto ai moderni smartphone, apro la sveglia e imposto le 12.10, poca roba se dovesse riuscire ma in teoria sufficiente per proseguire un pochino meglio riposati per qualche ora…………………………………………………………………………………………………………………………………………                                 nel mezzo succede, o meglio, NON SUCCEDE, …qualcosa………………………… .        😴😴😴                                                                    apro gli occhi e sono le 12.08!!!!!!!!!

                                                                            CE L’HO FATTA!!!

Mi rimetto a ravanare nella borsa cambio per decidere bene con quale maglia calda ripartire, mangio di nuovo barretta e fruttino, raduno la sporcizia che avevo accumulato nella tasche in attesa di poterla buttare in un cestino e riparto alle 12.37 (vantaggio 38’) pieno di fiducia per la prossima tappa verso Arnouvaz, di grande fascino dato che il percorso ricalca parzialmente, ancorché alla rovescia, quello del finale del Tor des Géants.

Parte terza - Aria di Tor, la prova del fuoco, un po' di noia

Nella prima parte in asfalto sono molto su di giril, lo si vede anche dal filmato di Place de L'Ange quando prendo la gradinata prima del tappeto, suscitando l'entusiasmo di un volontario che, riconoscendo la cuffia del CRO, mi insegue per chiedermi di dove sono e come sto, la cosa mi fa molto piacere e mi ricorda con un po' di malinconia le vicissitudini dell'ultima edizione di questa leggendaria gara, che ho avuto l'onore di terminare due anni fa, saltata per problemi organizzativi.

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Insisto ancora finché non attacca il sentiero, convinto chissà perché di trovare una frazione "materasso" per lo più su stradina di fondovalle...subito pero' devo ricredermi, il primo tratto nel bosco per il Bertone tira bene e cerco di stare un po' sulle mie, qualche escursionista in discesa dà la giusta carica per tenere botta, poi piano piano il paesaggio si apre, la cosa strana che riscontro è il gran secco del terreno che durerà fin quasi ad Arnouvaz, sembra che l'orografia da queste parti giochi brutti scherzi, facendo scaricare le nuvole per lo più negli altri due paesi...mi dovro' ricredere in parte ma solo nel finale del Ferret.

Finalmente il sentiero si apre ed ecco il Bertone, è la prima volta che mi approccio ad un ristoro con una certa rilassatezza. Minestrina di rito, Coca Cola e si riparte, le ondulazioni si susseguono senza sosta e fanno un po' male, sembra che il corpo, dopo aver tirato fuori il meglio in condizioni davvero difficili, si ribelli all'idea di tirare anche qui dove, vento a parte che si sta facendo sempre più fresco e teso, si può godere di un discreto panorama.

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A lato del sentiero inizio a vedere gente assopita, alcuni con l'apposito cartellino "Non disturbare" appuntato sullo zaino, spero solo che non finiscano sul banco di qualche pescheria l'indomani 😁.

L'ultima salitina verso il Bonatti, con vista sul tratto iniziale verso il mitico Malatrà, mi va proprio di traverso, medito quasi di andare nel rifugio a farmi qualcosa di caldo, alla fine pero' ripiego su un po di tè caldo e coca, cazzeggiando forse due minuti di troppo su una panchina...man mano che si avanza Arnouvaz, inizialmente individuata a caso in un certo gruppo di casette, si rivela sempre più lontana del previsto, e quando finalmente  si riesce a vedere il tendone a qualche centinaio di metri guardo l'orologio del GPS e toh....sono già le 5.07 e non è certo il caso di scherzare, il cancello non è a rischio ma il cuscinetto di 37' in uscita da Courmayeur verrà in parte consumato.

Nell'avvicinarmi al tendone medito già di fare quello che guarda caso un solerte assistente mi indicherà come obbligatorio, e cioè di infilarsi i pantavento, dentro mi prendo due barrette di scorta e mi fermo appena dopo l'uscita, purtroppo tocca sfilarsi le scarpe e perdere un paio di minuti di troppo, per prudenza infilo anche la combinazione di guanto impermeabile, mi attende una bella impennata di 800 m e non voglio rischiare nulla anche se lo scenario è di certo molto meno fosco rispetto alla neve gelata narrata e immortalata dal mitico Alvin lo scorso anno.

All'inizio della scalata mi piazzo dietro un terzetto dall'accento lombardo-occidentale,

cercando il ritmo ma anche una certa protezione durante l'attraversamento di una nutrita mandria che invade senza pudore il sentiero, poi dopo un quarto d'ora mi sfilo e fiato mezzo minuto, ormai la tattica da over 2000, imparata per istinto durante la 4 luglio '15, scatta automatica e mi rimetto in marcia dietro altri, e così via gestisco l'affanno con una decina di micropause, pian piano il passo si avvicina e la tenda degli assistenti dà proprio l'idea di un'atmosfera polare, ormai anche la micropioggia quasi impalpabile ha smesso ma il freddo resta intenso e non riesco neppure a fermarmi per fare una foto, è meglio riprendere a trotterellare senza indugio, finalmente giunti in terra elvetica, per tornare a quote più basse.

Rivedo ancora Corrado e gli sto dietro mentre riusciamo a rimontare qualche posizione, ad un certo punto si scende sotto il livello delle nuvole e torna in vista qualche albero, tolgo i guanti pesanti, ancora discesa netta ma con frequenti microondulazioni che fanno male, è qui che vado di nuovo in crisi e perdo Corrado definitivamente, proseguo un po' sconsolato ma poi mi rendo conto che forse è meglio mangiare qualcosina, l'effetto (forse anche un po' placebo?) è quasi immediato, tiro un sospiro di sollievo e mi fermo a rimettere la frontale, le pendenze si addolciscono e inizia a vedersi anche un po' di sterrato, insieme a terra pressata e liscissima, che a tratti fa immaginare che ci sia una pozzanghera anche dove non c'è...precisione svizzera o allucinazioni incombenti 😂? E arriva anche il ristoro di la Fouly, altra bella pasta ed inizia la "tappa di trasferimento" verso Champex, all'inizio misto asfalto e sterrato facile, poi pero' ci si infila in un bosco con sulla destra un leggero strapiombo, è chiaro che rispetto al bitume infinito narrato da Alvin qualcosa è cambiato, mi immagino che al di là ci possa essere il lago, pero' soffro un po' a non poter osservare il panorama ed inizio ad annoiarmi, nel frattempo chiamo finalmente mia moglie...e alla fine supero le mie personali colonne d'Ercole a Champex Lac, dopo 30h45' di gara, con ben 1h45' sul cancello.

Da qui in poi tutto può succedere....

 

 

 

 

 

Parte quarta: Ho visto cose, come in un vertical, che gli è successo?, epilogo

In uscita da Champex Lac ho la curiosa sensazione di passare da posti già visitati, cerco sempre di accodarmi a  qualcuno per far riposare un pochino la mente evitando di cercare continuamente le balise, le gambe rispondono bene
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ma la vista della fila di frontali a quote più alte mi indispettisce, e inizio ad avere strane visioni: gruppetti di 3-4 concorrenti davanti a me disegnano con le loro luci figure improbabili, pezzi di villette, arcate, statue e porticati, a un tratto mi sembra addirittura di vedere, all'interno di una stanza illuminata, due persone che si esercitano nel ballo...gli inserti rifrangenti degli altri concorrenti compongono figure di finestre e altre strane strutture, evidentemente (e ne avro' conferma qualche giorno più tardi confrontandomi con altri) la mente cerca di reagire alla stanchezza creando delle immagini dove non ci sono...per fortuna l'andatura resta abbastanza sicura eccetto in un paio di punti dove le balise sembrano sparire e mi tocca fermarmi ad aspettare gente; a un certo punto il tratto immerso nel bosco termina, dopo il ristoro de la Giète, proprio quando stavo diventando insofferente vedendo che la traccia puntava sempre più in alto, la pendenza cala e il sentiero si apre sulla destra, facendo intravvedere in lontananza finalmente una sella…in questo tratto mi attardo parecchio a trafficare con le batterie del GPS, che non ho cambiato per tempo causando un buco di qualche centinaio di metri nella traccia (il disguido mi innervosisce parecchio, si sa che noi ultratrailer siamo parecchio maniaci in queste cose).

Giunti alla sella ancora un breve tratto in falsopiano e poi giù verso Trient con una bella picchiatona, oserei dire quasi pornografica per chi ama il genere 😁 , a tornantini fitti con sasso-radice-sasso-radice-sasso-radice-tornante-sasso-radice-sasso-radice-sasso radice-tornante-sasso-radice-sasso-radice-tornante ….. 😂 e così via nmila volte, non riesco a capacitarmi di come le mie ginocchia riescano a reggere tutto ciò, con la complicazione che la mia Actik, dopo le tre ore dall’ultimo cambio batteria, ha iniziato il fisiologico periodo di abbassamento di potenza, per cui spesso e volentieri mi trovo ahimè alquanto in imbarazzo con le ombre proiettate da dietro da frontali ben più efficaci.

Arrivo a Trient tutto sommato abbastanza fresco, altra minestra di riso, mi siedo 5’ su un tavolo cercando di appoggiare bene la testa, faccio per impostare un minipisolino col cellulare, non è che ne senta il bisogno assoluto ma non si sa mai, ma poi la caduta dello zaino dalla panca mi disturba e decido di non insistere e ripartire, per maggiore confort tolgo la frontale visto che ormai a velocità modesta in leggera salita se ne può fare tranquillamente a meno, e mi appresto all’ultimo, almeno in apparenza dopo il taglio della Tete Aux Vents, scoglio di giornata : Les Tseppes, verticalone da paura, pendenze con tratti superiori al 30%, mi sa messo lì apposta a segare le velleità di chi ci arriva in riserva…mi appropinquo sbacchettando discretamente sulla stradina sterrata in lieve pendenza, poi si svolta a destra e già intravedo i primi gruppetti più su che immeditatamente danno l’idea della durezza della rampa, per fortuna almeno il fondo è decente, terra pressata praticamente asciutta con pochi sassi e radici, all’inizio mi sorprendo alquanto di non avere il minimo affanno per uno strappo che, se preso con la forma che avevo sulla Seigne o nel finale del Ferret, potrebbe segnare la fine di qualsiasi speranza…arrivo sotto ad un gruppo di 5 giapponesi ed un escursionista francese, faccio qualche tornante in coda, poi uno dei giapponesi si stacca e mi fa da tappo per un paio di minuti, lo passo, poi sto ancora un po’ dietro agli altri che pero’ dopo poco si fermano tutti insieme, probabilmente per aspettare l’amico, resto dietro al francese, ragazzotto sui 40 con sulle spalle un enorme (per lo standard di noi trailers) zainone da 60 litri o giù di lì, bastoncini di marca sconosciuta, gambe leggermente arcuate e scarpe non troppo tecniche che gridano vendetta, non tanto per l’usura quanto per la deformità –starebbero bene in un video esplicativo su cos’è la pronazione 😂😂 ), a un certo punto mi chiede se voglio passarlo, io declino gentilmente perché al suo passo mi trovo molto bene (e alla fine sarà questo il parziale meno peggio rispetto a quelli di Thevenard  😍 ) , e non voglio rinunciare a questo vantaggio psicologico enorme.

1800….1900…poco prima che la pendenza si faccia meno arcigna il tipo si ferma a bere con calma, io che nel frattempo ho sbevacchiato senza fermarmi proseguo aumentando leggermente il ritmo per puntare e passare al più presto un altro concorrente, che con un bizzarro passo da ronzino incazzato mi irrita un po’, finalmente si arriva a una sella dove inizio a perlustrare i bordi del sentiero alla ricerca di un posto tattico per una sosta tecnica pesante, niente da fare per il momento dato che c’è la delimitazione elettrificata per le mucche, c’è poi un tratto con leggere ondulazioni e un avvallamento spendibile alla bisogna ma purtroppo qualcuno lo ha scoperto prima di me e non voglio perdere tempo ad aspettarlo, mi rassegno a scendere con più cautela del previsto verso Vallorcine, sentiero non banale ma facile se non si spinge, giusto 200 metri dopo la stazione della seggiovia trovo l’angolino giusto e poi trotterello finalmente libero verso Vallorcine, arrivo ormai virtualmente sicuro dentro di me della riuscita dell’impresa, riparto alle 9.36 con ben 1h40’ di vantaggio, bella camminatona tranquilla su facile stradina verso una strada asfaltata, c’è un attraversamento presidiato dove ci sono parecchi tifosi, i “merci” si sprecano ormai, poi prendo il cellulare per controllare i tifosi virtuali, leggendo con enorme piacere tra gli altri l’incitamento degli amici di RF e di naja, il sentiero riprende a salire con pendenza prima dolce poi più cattiva, mi fermo a togliere il guscio muletto che si è veramente meritato un posto in prima pagina per come mi ha protetto in questa gara, guardo l’altimetro…1500…per la Flegère altri 300 ma prima bisogna fare un’altra discesa, purtroppo finisco l’acqua in fretta, toccherà evitare colpi di testa fino al ristoro, si arriva a 1700 circa poi si scende, tratto ostico nel bosco con sassoni e radici dove in qualche punto tocca metter giù le mani, vado cauto non vorrei che dopo trecentomila e rotti metri di D+ la caviglia mi tradisca proprio qui, finalmente si risale, guardo di nuovo l’altimetro…1600…uff…ad un tratto sento elicottero volteggiare, arrivo ad una curva dove vedo ferme 6-7 persone, 100 metri più un là su un pietrone leggermente esposto un soccorritore aspetta del materiale in calata, ovviamente stiamo fermi lì a distanza di sicurezza un paio di minuti perché il flusso d’aria delle pale a momenti sradica i cespugli, poi il mezzo si allontana in attesa di altre indicazioni e riusciamo a sgusciare in avanti, vedo che la persona soccorsa è un concorrente, è già imbragato e lo sguardo assente 😑 non mi permette di fare ipotesi certe (crisi di sonno? metabolica?? infortunio?)...eh sì anche agli sgoccioli il colpo di scena è sempre in agguato!

(Nel frattempo ho scoperto risalendo dal pettorale tramite Fb a cosa è successo, il tipo era passato a Tre Le Champs due ore e mezza prima di me, già in preda ad allucinazioni dalle 3 del mattino, ha poi avuto a un paio di km da La Flegère il tracollo definitivo...poveretto :( , dice che ha voglia di riprovarci l'anno prossimo e ringrazia l'equipe medica per non avergli permesso di farsi del male oltre).

Dopo la triste scena passo qualche minuto un po’ abbacchiato, attentissimo ad ascoltare il battito dentro di me, la lucidità sembra piena ma la vista, finalmente, del tratto aperto sotto il sole per l’ultimo strappo verso la Flegère mi spaventa un po’, per fortuna tira ancora un venticello freschino, diversamente in questi 100 metri ancora in salita, senza più acqua più di un’ora, potrebbe scapparci ancora un bel colpo di calore!

Entro nel tendone, ultima barretta, faccio il pieno alle borracce, acqua a sx e misto acqua/coca a dx, sono 12.36 e l’iconico target dei sei 4 in fila dovrebbe essere in tasca!!!

Primo tratto su sterrata un po’ irregolare, cerco di corricchiare ma la pendenza non modesta mi fa tirare un po’ i quadricipiti e allora via di Galloway 😎 , poi si passa su sentiero con pendenza media dove faccio e subisco a mia volta diversi sorpassi (da lì all’arrivo peggiorero’ di una posizione), comincio a scrutare verso il paese per capire dove potro’ finalmente dare sfogo al mio rito catartico, finisce il sentiero e inizia una sterrata con ancora un po’ di pendenza, ancora qualche tifoso incita, poi si intravvede il lungofiume e allora chiedo ad un francese se c’è solo asfalto da lì alla fine, lui mi dice di sì, io mi tolgo subito scarpe e calze e le infilo a mo’ di trofeo di caccia nelle punte dei bastoncini, immediatamente subentra quel senso di leggerezza e libertà che ben conosco, solo che il francese mi ha fregato e nei 3-4 pezzi residui di sterrato tocca per forza camminare per evitare possibili tagli, proseguo bene ormai gasato col cellulare nella mano destra pronto a fissare gli ultimi minuti:

https://photos.app.goo.gl/n2sWaXyTkys1FZJJ9

Poi arrivano i due sovrappassi con scale in metallo, che ormai con l’adrenalina sembrano comode discese e infine la zona transennata in centro dove il tifo è incredibile, faccio un paio di giri su me stesso di giubilo e mi pianto negli ultimi cinque metri, passando la linea al passo.

Approfitto dei fotografi per farmene fare una col mio e senza indugiare troppo vado verso il deposito sacche, a un tratto pero’ vedo uno col gilet da finisher della CCC e allora gli chiedo dove andare a prenderlo, piccolo disguido che pero’ non farà saltare i piani di rientro dato il notevole anticipo sulle 18 orario di partenza del Bus.

Doccia calda e per nulla affollata, tento il minipisolo ma mi dicono che nel salone grande stanno sbaraccando e se voglio un sonno più lungo devo spostarmi in un’altra area, alla fine decido di levare le ancore e con qualche difficoltà per la presa dei tre bagagli mi avvio prima verso l’UCPA, dove scopro che il pasto gratis consiste in una semplice baguette farcita, e nel contempo capisco, dall’effetto stranissimo che fanno due birre medie sul palato, di essermi beccato con ogni probabilità un bel raffreddore, inevitabile data la promiscuità alimentare ai ristori.

Anche nel viaggio verso Aosta non riesco a prendere sonno e allora, dopo un bis di linguine e pizza nello stesso posto del pregara, guido molto cauto data la forte pioggia nel tratto in valle, per poi fermarmi per prudenza alle 23 in un autogrill nei pressi di Novara, dove mi risveglio alle 2.30 pronto a fiondarmi verso casa per essere in ufficio alle 8.30 in perfetto orario!

E all’orizzonte della prossima estate, dopo un breve periodo di riposo a beneficio soprattutto della testa dato che il fisico è uscito integro e la voglia di correre, diversamente da altre occasioni, non è mai passata neppure nelle immediate ore post-gara, già si profila un gonfiabile sui prati del Talvera….


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Michelangelo Trail 2018 di Pietro Leoncini

18Domenica 9 settembre ho fatto servizio scopa al Michelangelo Trail 30 km e 1.800 metro d+. 

Sabato avevo il battesimo di mio nipote Nicola e tra cerimonia e cena abbiamo fatto l'una di notte. Metto la sveglia alle 4:15 con la certezza che mi sarei girato dall'altra parte, ma così non è stato. Il mio orologio biologico anticipa quello meccanico alle 4 in punto mi sveglio. Sorprendentemente non ho sonno. Velocemente raccolto le mie cose e mi dirigo in macchina tutto solo verso Caprese Michelangelo. Alle 7 sono li, mi vesto, ritiro il pettorale e mi consegnano la radio per eventuali comunicazioni. Sono l'unica scopa della lunga. Alle 9 in punto parte la gara. Aspetto qualche secondo e faccio passare tutto il gruppo. La gara parte subito in salita e mi accodo agli ultimi. Il plotone di atleti si sgrana, i primi volano, non li vedo già più. Dopo la prima breve salita inizia un tratto in discesa e la ragazza che al momento risultava ultima riesce a raggiungere una coppia di concorrenti. 

Una signora sulla quarantina, un metro e cinquanta circa, e un ragazzone di un metro e novanta sui trent'anni. Stanno uno vicino all'altro, molto vicino. Lei davanti e lui dietro, vicinissimo, corrono e camminano i modo alternato. Questa cosa non l'ho mai vista. L'ultima diventa terzultima velocemente. Rimango un pò distante, dopo poco però li raggiungo. Mi faccio delle domande, forse uno dei due è infortunato? E uno di questi interrogativi mi scappa di bocca, senza volerlo, un pensiero a voce alta. "Sto ragazzo che problemi ha?" La donna subito: "E' un non vedente". Ci metto una decina di secondi per riprendermi dalla figura di merda, e vedere che lei è avanti e tieni i bastoncini rivolti in dietro e lui segue lei arreggendosi. La prima cosa che dico:"Ragazzo, te hai due palle come due meloni, hai un gran coraggio". Lei si chiama Anna, e lui Ivan.

La discesa finisce e riprende una lunga salita, su sentiero facile. Ivan e Anna, su questo terreno, vanno fortissimo e raggiungono di nuovo la ragazza di prima, per un pò rimango distanziato. Arriviamo al primo cancello orario al km 9 con qualche minuto di ritardo, l'organizzatori lasciano passare. Il sentiero diventa sempre più sconnesso e difficile. Una serie di pietraie e piccoli torrenti da guadare. Ivan e Anna tornano ultimi.

Da questo momento in poi per almeno 5 ore starò con loro. Spettatore di una lotta di un non vendente e la usa guida contro il tempo, i dolori, il terreno insidioso, la natura selvaggia del bosco e della montagna.

Sono indescrivibili i momenti che ho vissuto e le emozioni che mi hanno regalato questa strana coppia di concorrenti. Per ben due volte mi sono emozionato e ho pianto vedendo i due soccorrersi e sostenersi a vicenda. Innumerevoli le volte in cui mi hanno fatto ridere di felicità per un guado superato, una salita in mezzo alle sadici o una discesa pericolosa piena di pietre.

Inarrestabili Ivan e Anna un passo dopo l'altro proseguono la loro marcia verso il traguardo, ma il tempo scorre velocissimo. E le sei ore che l'organizzazione ha dato come cancello orario è vicinissimo.
A 3 km dall'arrivo il responsabile della gara ci viene incontro per avvisare i due che il tempo limite è scaduto e che non sarebbero risultati in classifica e che se volevano potevano terminare li la loro gara e tornare al traguardo con il pulmino. Con la stessa tranquillità con cui aveva affrontato i 27 km fino ad ora, Ivan risponde che avrebbe finito lo stesso il percorso. Anna è visibilmente emozionata, io non posso che seguirli e incitarli. Il direttore e tutta l'organizzazione si mettono subito in moto per avvisare tutti i volontari all'arrivo per farci trovare sempre tutto montato, una birra, qualcosa da mangiare. Avvisano il ristorante, responsabile del parta party, di tenere ancora aperta la cucina. Capiscono che l'impresa per loro, ma a questo punto anche per me, è importante.

Gli ultimi chilometri sono un accumularsi di emozioni, che esplodono sotto il gonfiabile dell'arrivo. Abbracci, sorrisi, lacrime di gioia. La poca gente che c'è applaude. Il viaggio è concluso, l'IMPRESA è fatta.

Oggi ho imparato una gran lezione di vita.
Oggi la mia asticella del "non ce la posso fare" si è alzata di un buon mezzo metro.

Giornata indimenticabile.

Grazie Ivan 
Grazie Anna

 

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Dxt 2018 di Guforunner

Ero in cerca di un'avventura ....avevo provato a partecipare lut ma il sorteggio dice che quest'anno non sa' da fare.

E adesso?

Ripenso alla vacanza appena trascorsa in val di zoldo e ai racconti dei compagni di squadra della d+trail di questa gara,delle sue difficolta , di quanto tempo dovrò stare sulle gambe.

Ma il richiamo di quei posti è troppo forte .....immaginare di ripercorrere quei sentieri e godere di quei paesaggi mi porta alla decisione che sarà la dxt la mia gara.

Certo tutto quel dislivello per me era un enorme ostacolo, ma prima o poi una gara cosi impegnativa dovrò affrontarla. 

Così iniziano 6 mesi di allenamenti dedicati a questa gara.....mesi che passano velocemente e mi accorgo che l'evento ormai è alle porte.

Partiamo giovedi (io e la mia compagna Ile)ne approfittiamo per una mini vacanza sulle dolomiti....ricordo il paese durante l'estate e a stento riesco a riconoscerlo....un paese vestito a festa,dove questa gara è considerata un evento non una rottura di palle,ci accolgono con il sorriso tutti disponibili...ti fanno piacere tanti complimenti per quello che ancora devi iniziare .....ti danno consigli

,sopratutto paolo l'organizzatore di tutto questo....ti senti come a casa.....spettacolo.

Giorno della gara

Sveglia alle 2:45

I soloti riti pre gara....colazione, controllo materiale , borsa con il cambio che lascerò a ile e via si va verso la partenza.

300 pazzi pronti al via...mi guardo intorno e vedo tante faccie ognuno perso nei suoi pensieri....tanti tantissimi stranieri sembra quasi di essere all'estero. 

 

 

Via si parte

 

In questo viaggio ricorderò chi ha fatto parte del mio viaggio ...il primo è un signore che nemmeno a 200 metri dalla partenza ad ogni persona che incrociava chiedeva "quanto manca?"

per fortuna alla prima salita/ingorgo diventerà presto un ricordo.

I primi 30 km scorrono velocemente ma si fanno anche sentire ...le bellezze che vedi in questi km rimarranno indelebile nella mia mente...e ancora non ho visto niente.

Qui conosco Silvia una ragazza di padova che non sta bene con lo stomaco....non riesce a mangiare....parlo con lei e cerco di incitarla a non pensare allo stomaco...mi dice che domani e' Il suo compleanno e che doveva sbrigarsi perper doveva festeggiare ...penso di finirla in 20/21 ore...gli dico "be io ci mettero 23/24 ore visto che abbiamo quasi lo stesso passo credo che festeggerai(per la cronaca le finirà la gra in 21 ore ...5* donna assoluta)

Arrivato a passo duran con il tempo che mi ero prefissato 6 ore...vedo ile che mi passa la visiera mangio qualcosa e riparto subito...mi sento bene.

Fino a quando non trovo il primo tratto impegnativo...la salita fino al bivacco grisetti...salita interminabile sotto il sole....ripida e senza fine supero atleti che sono senza bastoncini e penso a come fanno visto che io sto faticando ad averli.

Finalmente arrivo al grisetti....li mi sento salutare da dietro , mi giro e vedo silvia che sembra sia partita adesso per la gara,da li non la vedrò più complimenti una vera guerriera.

Da li cominciamo a scendere. ?..il tivan non ce lo fanno fare per troppa neve.....scendiamo verso pecol....qui conosvo due ragazzi del posto ...mi raccontano metro per metro la gara...loro sono veterani...e delle difficolta che si incontrano....purtroppo non ricordo i loro nomi....la vecchiaia.

Arriviamo a pecol dopo aver fatto parecchie cadute sulla neve a quote basse...pensa cosa ci poteva essere sul civetta.....qui c'è sempre la mia ile che mi aspetta e mi manda i saluti dai miei compagni di squadra..

Veloce ristoro e ripartiamo per passo staulanza...a malga pioda comincia a piovere....diluvia....fino al staulanza tutto cosi.

Arrivo alla base vita con u  tifo da stadio....i volontari sono stati tutti straordinari...hanno incitato tutti dal primo all'ultimo nello stesso modo.

Arrivo con il tempo previssato di 12 ore...mi cambio mangio qualcosa e riparto....saluto ile per lultima volta,la rivedrola mattina seguente.

Saluto anche la mia guida"intanto parto non ci metterai tanto a riprendermi" purtroppo non ci rivedremo più. 

Fino a zoppe di cadore il pefcorso si fa corribile ma molto molto molto fangoso...a tratti impraticabile.....arrivo molto bene penso che sto facendo la gara perfetta ...tutto come avevo programmato.

Riparto e duarnte il cammino incontro massimo ...facciamo parecchia strada insieme ...lui fa parte della ronda ghibellina...parliamodelle tante gare degli allenamenti per affrontare questi impegni.

li incrociamo un tizio vestito da testa e piedi con abbigliamento del utmb....se non mi sbaglio era della sassonia...ci racconta che farà la utmb poi dopo 2 settimane il tor....un vero pazzo.

Arriviamo al talamini...sempre con la solita gentilezza e tifo mi mangio un bel brodo vegetale con pasta...massimo intanto èripartito,lui e molto piu veloce....ci rivediamoil giorno dopo con tutta la sua famiglia.

Qui inizia il calvario ...duarnte la salita interminabile al monte rite mi sento vuoto,finito...non riesco a fare un passo dopo laltrol'altro.

mi passano in tanti....una crisi paurosa mai provata prima....arrivo al ristoro senza forze.....li rimango per un bel po mi guardo intornoe vedo parecchi atleti nelle mie condizioni...chi si ritira chi dorme sulle panche ...chi guarda nel vuoto...arriva il personale del l'assistenza che avverte l'arrivodel mezzo che porterài ritirati a zoldo...tanti.

Li la mia testa è piena di pensieri....quasi accetta la sconfitta e perche non prendere quell'occasionee far finire questa agonia.

No manco per cazzo...brodo,due bicchieri di coca e zollette di zucchero.mando giu tutto e via si riparte.

Piano piano il corpo sembra aver ripreso a carburare cosi i 5km che porata a passo cibiana passano tranquilli....ok da qui inizia il difficile 25 km belli tosti...affronto la salita di 400 d+con sorprendente facilità....mi faccio i complimenti da solo...poi lei.

Lei la discesa verticale. ?..la discesa che avavevo temuto è arrivata...i volontari ci dicono di stare attenti...discesa ...chiamarla discesa è una battuta...una parete verticale con scalini di 50 cm.

non so quante volte sono caduto io e altri che erano con me...una cosa davvero impegnativa e infinita.

Arrivato alla fine si risale subito con altrettanto muro verticale...non ce sentiero da seguire per quanto è ripida...finalmente arrivo allultimo ristoro di bosconero.

mancano 13 km...ultimo rifornimento...mi convinto che ormai è fatta e via si riparte.

13 km infiniti di sali e scendi con il fondo molto scivoloso...anche qui parecchie cadute...ormai manca poco cerco di aumentare il passo ...si sta facendo giorno e ce ile che mi sta aspettando al traguardo.

I km piu lunghindella mia vita....infiniti...spengo la frontale ormai non serve più...scendo il piu velocemente possibile...finalmente arrivo alla fine del sentiero...ultimo km.

Arrivo al traguardo con sorpresa nel vedere che ce ancora tanta gente in piazza....mi fanmo sentire un vincitore.

FINITA

Non mi sembra vero...avevo raggiunto il mio obbiettivo...per l'euforia non avevo neanche sonno...doccia veloce, colazione e poi subito in piazza a vedere il mini trail.

vedere 200 bambini agguerriti vale il prezzo del pettorale...qui si vede la grande organizzazione che è stata messa in piedi.

Poi come tutte le cose belle purtroppo siamo ai saluti...si comincia a smontare tutto e il paese ritorna nella sua normalita...in quei 4 giorni zoldo sembrava il centro del mondo...all'improvviso torna ad essere un a

paesino tranquillo di montagna.

 

Anche se non era il tempo che volevo metterci(24:50)sono contentissimo per limpresa che ho portato a casa.

Perche di impresa si parla.

Un grazie a tutti i miei amici chi mi hanno sostenuto in questo viaggio...chi a realizzato questo evento...la mia compagna ileana che mi è stata sempre vicino..ma sopratutto ai volontari ...straordinari...senza di voi tutto questo non portebbe esistere.

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